
L’attacco chimico contro la popolazione siriana, se fosse confermato come tale, sarebbe un «crimine contro l’umanità, una sfida alla comunità internazionale che avrebbe gravi conseguenze contro chi lo ha perpetrato». A due giorni dalla denuncia delle opposizioni siriane e dalle tragiche immagini del massacro avvenuto nell’oasi di Ghuta, alla periferia nord di Damasco, è il segretario generale dell’ Onu Ban Ki-moon a tenere alto il pressing della comunità internazionale sul regime di Bashr al Assad, messo all’ indice ieri dalla Gran Bretagna - e ancor prima da Parigi - come il responsabile della strage. Scossa anche Washington dove, tra mille cautele, si torna a parlare di azione militare, seppure nell’ambito di un mandato delle Nazioni Unite. Il milione di profughi in fuga dal Paese - cifre fornite ieri dall’Unicef - e soprattutto le terribili immagini dei bambini che si teme siano vittime del gas nervino hanno sconvolto il mondo e l’America. Tanto che Barack Obama, pressato dai falchi che da mesi spingono per un intervento armato, ammette alla Cnn che «è giunta l’ora delle scelte». Già ieri il conservatore Wall Street Journal ha soffiato sul fuoco, rivelando che il Pentagono sta già lavorando a opzioni militari sul suolo siriano. Ormai da settimane, anche in seguito al bagno di sangue in Egitto, Obama si trova stretto in un angolo. Non solo la destra estrema ma anche un moderato come John McCain hanno attaccato l’inquilino della Casa Bianca per la sua passività, per aver ridotto gli Stati Uniti al ruolo di spettatore, senza alcuna influenza in un Medio Oriente sempre più in fiamme. Sono sotto gli occhi di tutti i tanti tentativi, tutti falliti, da parte della diplomazia americana e europea di trovare un’intesa, un cessate il fuoco, a Damasco, come al Cairo.
Da qui la scelta del "Commander in Chief" di reagire, dicendosi «molto preoccupato» di quello che sta accadendo in Siria e annunciando decisioni chiave «entro breve». Ma l’oggetto dello scontro è proprio quello: i tempi e la legittimità di un eventuale intervento. E su questi punti Obama mostra tutta la sua cautela: «Noi - sostiene il presidente - dobbiamo pensare, in modo strategico, su come difendere i nostri interessi nazionali a lungo termine». Quindi esclude nettamente ogni ipotesi di intervento unilaterale: «L’idea che gli Stati Uniti possano risolvere in qualche modo da soli la complicatissima crisi siriana è senza dubbio sopravvalutata. Se entriamo in azione e attacchiamo un altro Paese senza un mandato delle Nazioni Unite - osserva Obama - si possono presentare dubbi sul rispetto del diritto internazionale. Per andare avanti dobbiamo lavorare con la comunità internazionale». Una prudenza che fonda le sue ragioni anche su questioni di politica interna. Tra pochi giorni la Casa Bianca sarà di nuovo al centro dello scontro con i repubblicani sul tema del bilancio statale. Così, malgrado il massacro in Siria, Obama lancia un chiarissimo segnale ai contribuenti americani sulla sua volontà di non tornare a impantanarsi nell’ennesima guerra dai costi esorbitanti. «Noi stiamo ancora spendendo decine di miliardi di dollari in Afghanistan», ricorda il presidente in modo esplicito. In questo quadro, c’è attesa per l’operato sul campo degli ispettori Onu: «Stiamo lavorando perchè abbiano accesso ai luoghi interessati», ha detto il ministro degli Esteri Emma Bonino, mentre Ban Ki-moon continua a spingere per una «accurata e tempestiva» inchiesta: l’alto rappresentante Onu per il disarmo, Angela Kane, arriva domani a Damasco per chiedere con forza al regime il libero accesso degli ispettori delle Nazioni Unite ai luoghi del presunto attacco. Intanto continua il dialogo diplomatico, seppure tra mille difficoltà. Il ministro degli Esteri russo Serghiei Lavrov - mentre il Cremlino insiste sulla tesi della provocazione- e il segretario di Stato Usa John Kerry, si sono sentiti al telefono e hanno condiviso sulla necessità di una «inchiesta oggettiva». Ma nulla di più. La Coalizione dell’ opposizione siriana basata in Turchia, intanto, si starebbe dando da fare per garantire la sicurezza degli ispettori Onu che si trovano a Damasco. «E’ fondamentale che arrivino sul posto in 48 ore», ha detto ieri Khaled Saleh, portavoce della Coalizione in una conferenza stampa a Istanbul.
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