
Sulla guerra in Iraq molti interrogativi non hanno mai ricevuto risposta convincente. Il primo è: quando l'amministrazione Bush e il governo di Tony Blair cominciarono a discutere della caduta del dittatore di Bagdad? A questo ne seguono tanti altri: lo fecero solo dopo avere esplorato e valutato la possibilità di intensificare le sanzioni evitando le armi? Quali erano le prove sull’esistenza degli arsenali di distruzione di massa? In definitiva: è stata una guerra legittima? Sir Peter Ricketts era il presidente della commissione che coordina il lavoro dei servizi segreti britannici, il Joint Intelligence Committee, e all'inizio del 2001, ben due anni prima che il conflitto cominciasse e persino prima dell'11 settembre, incontrò i responsabili della sicurezza e del controspionaggio statunitense. Fu, durante quelle riunioni seguite all'insediamento di George Bush alla Casa Bianca, che percepì la volontà di Washington di procedere in un modo o nell'altro al rovesciamento di Saddam Hussein. Le relazioni che provenivano dall'Iraq indicavano che vi era lo spiraglio di un «golpe» interno, che forse isolando ancora di più il raìs, si sarebbero potuti favorire una rivolta e il cambiamento. «Eravamo a conoscenza che alcuni gruppi armati dell'opposizione si stavano muovendo ma non c'era ancora una chiara visione politica su come sbarazzarci di Saddam Hussein » . Una cosa è certa: nel 2001, il dossier Saddam era già aperto sulle scrivanie sia di Bush sia di Blair. Resta da chiarire se l'opzione dell'attacco militare fosse già presente oppure no. E non è un particolare di secondo piano.
La memoria di sir Peter Ricketts si è sciolta davanti ai cinque membri della commissione che, chiamata a indagare sulla guerra, si è insediata ieri mattina con un discorso del suo presidente sir Chilcot e ha cominciato a interrogare i testimoni. La lista di quanti dovranno spiegare se fossero state esplorate tutte le alternative, se esistessero nel 2003 le condizioni per bombardare Bagdad, se vi fosse chiara la necessità di avviare la ricostruzione una volta abbattuto il regime, comprende ministri, generali, famiglie dei soldati morti, agenti segreti, il premier Gordon Brown che all’epoca era Cancelliere dello Scacchiere e soprattutto un «imputato» eccellente: Tony Blair, il quale comparirà in gennaio o febbraio, alla vigilia della sospensione per la campagna elettorale. La commissione non ha poteri sanzionatori, non può condannare o emettere sentenze ma ha una forte impatto politico. Dai documenti raccolti e dalle audizioni che proseguiranno fino alla fine del 2010 potrebbe uscirne la revisione del quadro storico, diplomatico, di intelligence, di relazioni economiche e internazionali che accompagnò la guerra, e la rivelazione di decisioni taciute per convincere l’opinione pubblica della legittimità dell'intervento.
Pur non avendo al suo interno esperti in materie legali (il che rende scettici alcuni osservatori britannici, specie i più fieri antagonisti dell'intervento in Iraq) la commissione ha sulla carta la possibilità di rendere visibili le ragioni, oltre a quelle pubblicamente dichiarate, che spinsero Londra e Washington a spedire le truppe per rovesciare Saddam e a sottovalutare il processo di ripresa dopo le operazioni sul campo di battaglia. La prima giornata ha dimostrato quali potenzialità nasconda l'indagine, l'unica del genere: sir Peter Ricketts ha confermato che il destino di Saddam era già segnato nel 2001. L'amministrazione Bush, appena nominata, avviò la discussione al suo interno sui modi e sui tempi. I britannici scambiarono informazioni con Washington ma non interferirono e si limitarono a registrare le accelerazioni. Il punto è: quando Blair offrì il via libera? Solo nel febbraio 2003, come ha sempre sostenuto?
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