
14/04/10
Il Giornale
«La vita è un diritto, non un dovere. Il suicidio per chi ha compiuto i 70 anni e ha deciso di morire, deve essere legalizzato». La nuova battaglia etica dell’Olanda si chiama eutanasia per anziani. Sani ovviamente, perché per quelli malati la «dolce morte» è già prevista per legge dal 2002.
Con il suo slogan Marie José Grotenhuis a 62 anni è diventata la paladina dei settantenni stanchi di vivere. In Olanda il suo gruppo, «Per volontà propria», è diventato una forza: sono oltre 125mila le firme già raccolte, ne bastavano 40mila per sollecitare il dibattito, ora il governo non può più ignorarli. La scadenza è per il 9 giugno, subito dopo le elezioni legislative. Allora la discussione non potrà più essere rimandata. Nel gruppo ci sono intellettuali, politici, scrittori; tutti uniti dallo stesso obbiettivo: depenalizzare il suicidio assistito per gli anziani che considerano «la vita già completata». Sì perché qui non si tratta di persone con malattie incurabili o con sofferenze atroci, ma solo di gente stanca, annoiata a morte. Di quelli convinti che il meglio della vita sia passato, portato via dai compleanni spenti uno dopo l’altro, di chi ha visto le rughe farsi spazio prima in volto e poi sulle mani. La fatica a camminare, i primi acciacchi. La vita che rallenta. Fino a dire no. Basta, meglio scendere dalla giostra prima che si fermi del tutto. Prima che il gioco peggiori all’improvviso, fino a sentire il peso addosso tutto insieme, prima che arrivi il rimpianto della gioventù, a tradimento, prima delle lacrime per una parola che non viene in mente. Prima di scoprirsi un ingombro nella vita dei figli, dei nipoti.
E allora la signora Grotenhuis combatte per i suoi vecchi, per regalargli l’ultima libertà di scelta. «I settantenni olandesi sono cresciuti dopo la seconda guerra mondiale in un clima di libertà e laicismo, con gli ideali del femminismo, e ora è naturale che vogliano decidere quando morire». Stare in pari col progresso significa anche questo, decidere di togliere il disturbo quando il passo rallenta. Sono più di 400 le persone anziane che ogni anno in Olanda si uccidono. «Non sono malati o poveri ma solo uomini e donne che sentono che anche la morte si è dimenticata di loro» dice la Grotenhuis. Ma come dovrebbe essere la «dolce morte» per una persona non più giovane ma senza problemi di salute? Il gruppo ha pensato ad una serie di norme e regole chiare. Prima di tutto ci sarebbero specialisti, psicologi, infermieri, guide spirituali e religiosi a disposizione del candidato suicida. Sono loro che devono accertare la volontà delle persone, capirne l’origine, capire se dietro alla richiesta ci sia una forma di pressione dai famigliari stanchi di accudirlo. Da rigettare saranno anche tutte le richieste per motivi economici. Gli anziani che potranno avviarsi verso la «dolce morte» dovranno ottenere prima un certificato di «vita vissuta», un attestato che dimostri che la decisione è stata presa in modo libero e indipendente.
Una scelta ragionata, in modo cinico e scientifico; la morte diventa un appuntamento con un bicchiere di veleno da bersi da solo in camera, guardando un album di fotografie. «Se senti che dentro dite non c’è più vita, allora devi poter dire basta», dice Dick Swaab, direttore dell’Istituto di neuroscienza di Amsterdam che appoggia il movimento. Con lui c’è anche Hedy D’Ancona, 72 anni, ex ministro della Cultura oggi in pensione, o Eugène Sutorius, 63 anni, avvocato. Chiedono tutti libertà di morte assistita. Di decidere fino alla fine quando e dove. «Morire deve essere un atto degno». Le stesse parole utilizzate un paio d’anni fa, quando la battaglia si faceva per i malati terminali, per quelli che non avevano più neppure la forza di dire basta, che non potevano staccare la spina da soli. Le stesse parole sono state usate in Italia per Eluana, «per una morte degna» spiegavano i radicali. Ora il limite si è spostato ungo’ più in là. La malattia non serve più, basta la noia e la data di nascita. «Per tutti quelli che anche se sani - spiega la Grotenhuis - non vogliono soffrire per colpa della vecchiaia».
Con il suo slogan Marie José Grotenhuis a 62 anni è diventata la paladina dei settantenni stanchi di vivere. In Olanda il suo gruppo, «Per volontà propria», è diventato una forza: sono oltre 125mila le firme già raccolte, ne bastavano 40mila per sollecitare il dibattito, ora il governo non può più ignorarli. La scadenza è per il 9 giugno, subito dopo le elezioni legislative. Allora la discussione non potrà più essere rimandata. Nel gruppo ci sono intellettuali, politici, scrittori; tutti uniti dallo stesso obbiettivo: depenalizzare il suicidio assistito per gli anziani che considerano «la vita già completata». Sì perché qui non si tratta di persone con malattie incurabili o con sofferenze atroci, ma solo di gente stanca, annoiata a morte. Di quelli convinti che il meglio della vita sia passato, portato via dai compleanni spenti uno dopo l’altro, di chi ha visto le rughe farsi spazio prima in volto e poi sulle mani. La fatica a camminare, i primi acciacchi. La vita che rallenta. Fino a dire no. Basta, meglio scendere dalla giostra prima che si fermi del tutto. Prima che il gioco peggiori all’improvviso, fino a sentire il peso addosso tutto insieme, prima che arrivi il rimpianto della gioventù, a tradimento, prima delle lacrime per una parola che non viene in mente. Prima di scoprirsi un ingombro nella vita dei figli, dei nipoti.
E allora la signora Grotenhuis combatte per i suoi vecchi, per regalargli l’ultima libertà di scelta. «I settantenni olandesi sono cresciuti dopo la seconda guerra mondiale in un clima di libertà e laicismo, con gli ideali del femminismo, e ora è naturale che vogliano decidere quando morire». Stare in pari col progresso significa anche questo, decidere di togliere il disturbo quando il passo rallenta. Sono più di 400 le persone anziane che ogni anno in Olanda si uccidono. «Non sono malati o poveri ma solo uomini e donne che sentono che anche la morte si è dimenticata di loro» dice la Grotenhuis. Ma come dovrebbe essere la «dolce morte» per una persona non più giovane ma senza problemi di salute? Il gruppo ha pensato ad una serie di norme e regole chiare. Prima di tutto ci sarebbero specialisti, psicologi, infermieri, guide spirituali e religiosi a disposizione del candidato suicida. Sono loro che devono accertare la volontà delle persone, capirne l’origine, capire se dietro alla richiesta ci sia una forma di pressione dai famigliari stanchi di accudirlo. Da rigettare saranno anche tutte le richieste per motivi economici. Gli anziani che potranno avviarsi verso la «dolce morte» dovranno ottenere prima un certificato di «vita vissuta», un attestato che dimostri che la decisione è stata presa in modo libero e indipendente.
Una scelta ragionata, in modo cinico e scientifico; la morte diventa un appuntamento con un bicchiere di veleno da bersi da solo in camera, guardando un album di fotografie. «Se senti che dentro dite non c’è più vita, allora devi poter dire basta», dice Dick Swaab, direttore dell’Istituto di neuroscienza di Amsterdam che appoggia il movimento. Con lui c’è anche Hedy D’Ancona, 72 anni, ex ministro della Cultura oggi in pensione, o Eugène Sutorius, 63 anni, avvocato. Chiedono tutti libertà di morte assistita. Di decidere fino alla fine quando e dove. «Morire deve essere un atto degno». Le stesse parole utilizzate un paio d’anni fa, quando la battaglia si faceva per i malati terminali, per quelli che non avevano più neppure la forza di dire basta, che non potevano staccare la spina da soli. Le stesse parole sono state usate in Italia per Eluana, «per una morte degna» spiegavano i radicali. Ora il limite si è spostato ungo’ più in là. La malattia non serve più, basta la noia e la data di nascita. «Per tutti quelli che anche se sani - spiega la Grotenhuis - non vogliono soffrire per colpa della vecchiaia».
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