
Una questione personale? Non scherziamo. Incompatibilità caratteriale? Non prendeteci in giro. Solo una squadra di «pompieri politici» del Pd può pensare di gettare tanta acqua sul fuoco da minimizzare la rottura fra il sindaco, Giuliano Pisapia, e il candidato più votato della sinistra alle Comunali di maggio, l'assessore a Expo Stefano Boeri. Premessa dovuta è che anche in questo caso (il litigio fra «comari») qualcuno dovrebbe scusarsi, e magari anche arrossire, perché se il capodelegazione del primo partito e il primo cittadino non riescono a stare insieme in giunta per più di 5 mesi a causa di questioni caratteriali, col rischio di evidenti ripercussioni nell'amministrazione di una città come Milano - non una qualsiasi - allora siamo di fronte a un caso di conclamata inadeguatezza (e di incapacità di anteporre gli interessi generali alle proprie personali inclinazioni).
Ma in realtà al dissidio privato non crede nessuno. Il clamoroso divorzio-papocchio può essere spiegato in due modi, entrambi imbarazzanti. La prima ipotesi è che si sia trattato di un dissidio tutto politico, con un detonatore ben preciso: l'ambizione delusa dall'esito negativo delle primarie e dalla ripartizione delle deleghe.
La seconda è che dietro la rottura ci siano corposi e sostanziali interessi in conflitto. E le polemiche emerse su Expo e Pgt sarebbero solo la punta di questo iceberg, tanto che perfino un «capogruppo» di maggioranza come il radicale Marco Cappato ha invitato i due litiganti a parlare chiaro, tirando fuori le reali motivazioni: «Credo che sia urgente spiegarle alla città e consentire un dibattito onesto e pubblico». Probabilmente le due ragioni si sommano. In ogni caso il Pd, avendo «esternalizzato» a Boeri prima le sue ambizioni di governo e poi la sua rappresentanza a Palazzo Marino, è andato incontro a quello che oggi può essere definito in un modo solo: fallimento.
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