
08/10/10
Italia Oggi
A stabilire l'eventuale falsità di un gruppo di firme apposte alla lista Formigoni alle regionali lombarde di primavera sarà ovviamente la magistratura. Certo, di fronte ai documenti prodotti dai radicali, pure chi non abbia alcuna esperienza di grafologia o di paleografia resta almeno perplesso, perché alcune firme sembrano davvero apposte dalla medesima mano.
La vicenda, indipendentemente dagli sviluppi penali e dalle possibili conseguenze ultime sul piano istituzionale, conferma una verità già segnalata da Italia Oggi: «Quando garantivano notai e pubblici ufficiali non c'erano problemi» (17 luglio). Quel che allora questo giornale segnalava sembra essersi puntualmente verificato nel caso lombardo. Notai e pubblici ufficiali «mai si sarebbero sognati di dichiarare valide sottoscrizioni non apposte alla propria presenza, figuriamoci poi firme di terzi, di morti e simili. Il fatto che un amministratore locale possa dichiarare valide sottoscrizioni artefatte, raccolte in modo irregolare, addirittura false, e che il fenomeno sia diffuso, porta a ritenere che solo riconducendo in condizioni di legalità gli autenticatori si possa troncare in radice molta parte del contenzioso elettorale». Ebbene, andiamo a vedere le reazioni degli accusati dai radicali.
Formigoni ha reagito con toni sdegnati, miranti a liquidare la denuncia come smania propagandistica e a minimizzare la vicenda, mentre più caute sono state le dichiarazioni di un autenticatore delle firme messe in dubbio. Si tratta di Franco Binaghi, consigliere provinciale di Varese per il Pdl. A leggere quanto riporta l'edizione milanese de la Repubblica, secondo il consigliere il giorno della raccolta delle firme «c'era un mucchio di gente, ma la calligrafia simile probabilmente dipende dal fatto che tutti hanno usato la stessa penna». Fin qui, è una giustificazione che appare tanto penosa quanto inconsistente. Poi però Binaghi chiarisce: «Del resto quelle firme sono state raccolte in piazza e non me ne sono occupato solo io: molti hanno ricevuto l'incarico dal partito, e poi ogni nome e firma era collegato a un documento di identità. Tutto avviene molto in fretta. C'è gente che mentre scrive chiacchiera, non certo come davanti a un notaio. Sono firme frettolose». Ecco: a occuparsi della raccolta non è solo l'autenticatore, ma pure altri. Quindi tizio e caio e altri attivisti raccolgono le firme, che in un secondo momento sempronio, autenticatore autorizzato in quanto amministratore locale, convalida.
Non avviene "come davanti a un notaio": ma appunto un notaio non autenticherebbe mai firme apposte di fronte ad altri. Se poi una firma risulta inserita da un congiunto o da un amico oppure venga trascritta da un precedente elenco di sottoscrittori (regolari) di altra competizione elettorale, l'autenticatore finale non può saperlo. Egli vidima sulla fiducia riposta in chi gli passa i fogli. Un tempo tutto ciò non succo deva, proprio perché chi firmava una lista non chiacchierava, ma stava «davanti a un notaio». Pretendere che i partiti non si arrangino nel raccogliere le sottoscrizioni, dopo che si è fornita ad essi (o meglio, dopo che essi stessi si sono forniti attraverso i propri parlamentari) la possibilità di farei furbi mercé l'autenticazione concessa ai consiglieri degli enti locali, è ignorare come vada il mondo. Naturalmente non possiamo sapere se le firme autenticate nel caso Formigoni siano in tutto o in parte fasulle o autentiche; però la vicenda, alla luce di quanto dichiarato dal principale indiziato, la dice lunga.
© 2010 Italia Oggi. Tutti i diritti riservati