
09/09/10
Il Tempo
Forse aveva ragione Pannella l'altro ieri. Un messaggio del Presidente della
Repubblica alle Camere avrebbe contribuito ad interrompere la sceneggiata. O quanto meno se ne sarebbe evitato l'atto più "infame" (ovviamente fra virgolette): il presidente della Camera che a metà della legislatura ritiene in diritto di annunciare la sua iscrizione ad un gruppo parlamentare da lui fondato, al fine di proporre al Presidente del Consiglio un patto di coabitazione per il resto della legislatura.
Repubblica alle Camere avrebbe contribuito ad interrompere la sceneggiata. O quanto meno se ne sarebbe evitato l'atto più "infame" (ovviamente fra virgolette): il presidente della Camera che a metà della legislatura ritiene in diritto di annunciare la sua iscrizione ad un gruppo parlamentare da lui fondato, al fine di proporre al Presidente del Consiglio un patto di coabitazione per il resto della legislatura.
Sono cronache dell'Italia di oggi. Ma sembrano ancorate all'Italia di ieri, e a quando nacque la retorica della Costituzione. Essa risale alla fine dell'Ottocento e consiste nella trasformazione
della Costituzione da meccanismo a simbolo. Torniamo allo Statuto, invocava Sonnino nel
1897, in favore di un sistema costituzionale «puro», nel quale l'esecutivo poggiasse solo sulla fiducia del re, eliminando la degenerazione di un Presidente del Consiglio, divenuto a suo giudizio «maestro di palazzo». Naturalmente quella di Sonnino era una costituzione immaginaria, perché mai dopo il 1848 si era avuta una dinamica costituzionale come quella auspicata, né si poteva tornare dove non si era mai stati.
della Costituzione da meccanismo a simbolo. Torniamo allo Statuto, invocava Sonnino nel
1897, in favore di un sistema costituzionale «puro», nel quale l'esecutivo poggiasse solo sulla fiducia del re, eliminando la degenerazione di un Presidente del Consiglio, divenuto a suo giudizio «maestro di palazzo». Naturalmente quella di Sonnino era una costituzione immaginaria, perché mai dopo il 1848 si era avuta una dinamica costituzionale come quella auspicata, né si poteva tornare dove non si era mai stati.
Anche allora la costituzione si faceva spesso espediente della retorica politica. Se Sonnino si esprimeva «da destra», gli faceva eco «da sinistra» Turati parlando di «bancarotta dello Statuto». Gli uomini politici di quella stagione avevano i loro obiettivi e i loro sogni. Soprattutto volevano impedire l'evoluzione del sistema verso un rapporto più equilibrato fra il capo dell'esecutivo e l'assemblea parlamentare. A loro modo ci riuscirono. Se ne avvantaggiò il fascismo e vent'anni do po alla Costituente si visse col complesso del governo forte. Insomma, nella storia d'Italia la sacralità della Carta è questione antica.
Poiché la Carta è sacra, ha dedotto ora Fini, basta che non siano esplicitamente previste ipotesi di dimissioni del Presidente della Camera perché si possa fare di quella presidenza una istituzione ad personam. - Non solo, la sacralità della Carta consente anche di poter prescindere dai suoi istituti, dal loro interagire, dal loro dispiegarsi sulla vita politica. Poiché non è alla Carta che possono farsi risalire disfunzioni, difficoltà, affanni del sistema parlamentare, può darsi che all'ordinamento manchi qualcosa: ad esempio un diverso sistema elettorale. Ed è materia su cui Fini ha spesso cambiato idea. Oggi, da Presidente della Camera, ha scoperto che se ne può discutere per accenni, allusioni, vaghezze: a prescindere, avrebbe detto Totò. Al coperto della retorica costituzionale, intanto la sceneggiata continua. Non c'è più quel che nell'Italia di Sonnino e di Turati era un dato acquisito: allora ai vertici del Parlamento doveva esserci sempre e soltanto un momento ed un ruolo di garanzia. Oggi la sovranità è dell'ipocrisia.
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