
Ha ragione il ministro Maroni quando dice che, nel valutare la possibilità di introdurre limiti alla libertà di espressione dopo l’aggressione subita da Silvio Berlusconi, il Governo si muove su un terreno scivoloso. La libertà di esprimere le proprie opinioni, anche a costo di irritare la suscettibilità di qualcuno, è una delle più importanti conquiste liberali. Tutelata dalle costituzioni e dalla legislazione di tutte le più antiche democrazie. Non c’è da stupirsi, dunque, se il ministro invoca cautela. Nemmeno c’è da meravigliarsi del fatto che diversi parlamentari - di maggioranza e d’opposizione - abbiano messo in guardia il governo dal prendere misure “illiberali” sulla scia dell’emozione provocata da quanto è accaduto. La cautela in questo caso è proprio necessaria, e la preoccupazione comprensibile. Tuttavia, nessuna delle due deve impedirci di ragionare.
Non è affatto vero che qualsiasi limite alla libertà di espressione, per il semplice fatto di impedire la manifestazione di un’opinione, sia ingiustificabile dal punto di vista liberale. L’idea che si debba tollerare tutto, in qualsiasi circostanza, non ha nulla a che fare con la concezione liberale della giustizia intesa come “fairness”. Essere liberali non vuol dire affatto difendere sempre e comunque la libertà di chiunque di fare qualsiasi cosa. John Rawls lo dice in modo chiaro: «La giustizia non richiede che si stia con le mani in mano mentre altri distruggono le basi della propria esistenza. Poiché, da un punto di vista generale, rinunciare al proprio diritto all’autoconservazione non può mai andare a vantaggio di tutti, la sola questione è se i tolleranti abbiano il diritto di tenere a freno gli intolleranti nel caso in cui non vi sia un immediato pericolo per le eguali libertà degli altri». La questione, quindi, non è se sia legittimo o meno limitare la libertà di una persona quando le sue azioni potrebbero mettere in pericolo la libertà altrui. Non c’è dubbio che queste restrizioni sono legittime. Dovremmo piuttosto chiederci se certe affermazioni sono così pericolose da essere una minaccia reale per l’eguale libertà dei cittadini. Forse, in alcuni casi, le parole sono davvero pietre.
Almeno così la pensano i Parlamenti di diversi Paesi che hanno adottato misure che restringono la libertà di espressione quando questa viene impiegata per incitare all’odio o alla violenza nei confronti di minoranze religiose o di gruppi sociali il cui comportamento viene ritenuto da alcuni offensivo o contrario alla morale. Anche in Italia è vietato incitare all’odio razziale, e di recente si è discusso della possibilità di introdurre ulteriori restrizioni della libertà di espressione a tutela degli omosessuali. Se queste misure sono accettabili, non si capisce perché non dovrebbero essere estese ulteriormente. Oppure perché non si possa valutare la possibilità di renderne l’applicazione più rigorosa, esercitando un controllo più stretto su quei mezzi di comunicazione - come la Rete - che vengono più facilmente usati come veicolo d’odio e di istigazione alla violenza. Sarebbe strano sostenere che ciò che siamo disposti ad ammettere per tutelare la sicurezza personale di una minoranza è inaccettabile se a essere minacciata è una persona sola. Se in questo Paese l’odio di alcuni nei confronti di Berlusconi ha raggiunto un livello tale da spingerli a plaudirne l’aggressore vuol dire che abbiamo superato il limite del tollerabile in un Paese libero. Ben venga una discussione sulle ipotesi di intervento che il ministro dell’Interno sta studiando, e che si spera verranno sottoposte al Parlamento.
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