
Ai tempi delle lenzuolate di liberalizzazioni dell'allora ministro Bersani, l'opposizione berlusconiana cavalcava a briglia sciolta una contestazione fondata su un argomento senz'altro accattivante. In sintesi si diceva: il centrosinistra sa fare la faccia feroce coi tassisti e altre categorie minori, ma si guarda bene dall'andare a toccare i corposi interessi delle aziende municipalizzate che forniscono in esclusiva gran parte dei servizi pubblici nei comuni rossi. Conclusione: quando toccherà a noi, vi faremo vedere come si liberalizza senza guardare in faccia a nessuno.
Sono passati un paio d'anni e adesso sta toccando a loro. E così lo scorso 25 settembre sulla 'Gazzetta Ufficiale' è uscito un decreto legge che all'articolo 15 reca la versione berlusconiana dell'apertura al mercato dei servizi pubblici locali. Guarda un po', punto fermo del provvedimento è l'esclusione integrale dalla liberalizzazione dei settori del gas, dell'energia elettrica e delle ferrovie regionali. Ovvero proprio di quei rami di attività dove più forte e lucrosa è la presenza di aziende controllate dagli enti locali, che così potranno continuare la discutibile pratica di essere lo stesso soggetto che prima affida e poi gestisce la concessione pubblica.
Il mercato si aprirà, viceversa, soltanto per i settori - in genere assai meno remunerativi - dei rifiuti, dell'acqua, dei trasporti su gomma. Ma poiché anche in questo caso gli enti locali potrebbero non gradire che le proprie aziende siano costrette a mettersi in gara con qualche concorrente al ribasso, si sta procedendo con una serie di ritocchi a rendere l'amara pillola un po' più dolce o addirittura innocua. La principale scappatoia escogitata al riguardo è quella di consentire ancora l'affidamento diretto del servizio a società miste con soci privati, ma nelle quali la quota maggioritaria del capitale - insomma, il controllo - resterà ben custodito in mano pubblica.
Forse non è un caso fortuito che queste sedicenti liberalizzazioni del centrodestra non siano state oggetto di un provvedimento specifico, ma siano state seminascoste dentro un decreto legge intitolato all'assolvimento di obblighi comunitari vari, nel quale c'è un po' di tutto. Consapevoli evidentemente che la loro montagna di promesse sull'apertura al mercato dei servizi locali aveva partorito un miserevole topolino, gli esponenti del centrodestra hanno così abilmente cercato di dissimulare la propria marcia indietro.
Ora però il decreto va sotto i riflettori perché comincerà ad essere votato dall'aula del Senato dal 3 novembre per poi passare alla Camera. Le probabilità che il testo subisca modifiche significative in senso più aperto al mercato sono minime: anzi, vista l'aria che tira dentro la maggioranza, c'è da temere qualche ulteriore passo indietro. Ma è lecito attendersi che almeno l'opposizione - a suo tempo svillaneggiata per la sua mancanza di coraggio in materia - sappia condurre una efficace battaglia per smascherare agli occhi della pubblica opinione l'inganno di queste false liberalizzazioni. Per Pier Luigi Bersani, neosegretario del Pd, dovrebbe essere un ghiotto boccone.
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