
L’idea di dotare, all’ingresso in carcere, ciascun detenuto di un vademecum in cui sono indicati i suoi doveri di cittadino privato della libertà insieme ai suoi diritti è un’iniziativa di straordinario impatto culturale e umano. Il progetto, previsto in sette lingue, assume particolare importanza, soprattutto da quando negli Istituti Penitenziari tra i “nuovi giunti”, oltre a persone in attesa di giudizio, vi sono anche molti stranieri extracomunitari. Non a caso è stata considerata il fiore all’occhiello dell’ex ministro della Giustizia Paola Severino. Nella realtà detentiva italiana e sarda tuttavia è un paradosso. Oltre al fatto che la quasi totalità degli Istituti di pena non ha sufficiente dotazione finanziaria per acquistare la carta per le fotocopie, l’aspetto più evidente della contraddittorietà del provvedimento sta nel fatto che lo Stato non rispetta le sue leggi e le disposizioni europee. Come conciliare quindi il “trattamento inumano e degradante” a cui sono sottoposti, secondo la Corte europea di Giustizia, i detenuti italiani con la distribuzione di una carta dei diritti e dei doveri? È impossibile parlare di diritti quando la disponibilità di spazio in una cella è inferiore a quella prevista dalle misure igienico-sanitarie per un maiale in un moderno allevamento.
Relativamente alle strutture detentive infatti l’Italia entro maggio 2014 dovrà trovare una soluzione al sovraffollamento e attivare un percorso per risarcire i detenuti che l’hanno subito. Ma non è la prima condanna. Per aver tenuto i ristretti in spazi troppo angusti, la prima sanzione risale al luglio del 2009. Dopo quella sentenza è stato promosso il “piano carceri” con nuovi penitenziari, quattro in Sardegna, e l’ampliamento, con altri padiglioni, di quelli esistenti.
Un altro aspetto che tuttavia viene ignorato sono le pari opportunità per la rieducazione e il reinserimento sociale del detenuto. Insieme alla dignità di ogni recluso da garantire durante la permanenza in carcere, occorre riflettere sulle possibilità di formazione scolastica e/o professionale e sul lavoro. Non si può far finta di ignorare che in realtà, come la Sardegna, dove mancano concrete occasioni di lavoro, progettare il recupero sotto il profilo socio-economico risulta particolarmente arduo. L’uscita dal carcere, per molti, significa ritornare a una vita precaria, in ambienti degradati e quando va bene fatta di assistenza.
Ciò significa ricorrere ad espedienti e ritornare molto presto dietro le sbarre. Ecco perché, oltre a favorire ed incentivare le possibilità offerte dall’Ordinamento penitenziario per chi intende reinserirsi nella società, la detenzione deve essere l’ultima soluzione ricorrendo a pene alternative. Il legislatore ha l’obbligo, per far fronte alla grave emergenza delle carceri, di prevedere la depenalizzazione dei reati meno gravi e di favorire una rete sociale di prevenzione e sostegno.
L’unico modo, in questo momento, per ripristinare, la legalità dentro gli Istituti è però l’amnistia perché è in grado di alleggerire anche i Tribunali di Sorveglianza che, con gli organici sottodimensionati, non sono in grado di far fronte alla miriade di richieste che provengono dalla popolazione carceraria per il rispetto dei diritti. Non è una banalità che Annamaria Cancellieri, Guardasigilli nel Governo delle larghe intese, abbia affermato di recente “le nostre carceri non sono degne di un paese civile”. Per questo una “Carta dei Diritti” è l’ultimo paradosso dei diritti di carta. [3]
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