
24/09/10
Gli Altri
La proposta di controriforma dei consultori presentata nella Regione Lazio da Olimpia Tarzia rispecchia fedelmente l'anima del centrodestra italiano, del loro pervicace tentativo di far regredire i diritti e imbavagliare le libertà. Un testo che sin dalle prime battute si rivela, semplicemente, inemendabile. Perché sotto il velo della difesa e promozione della vita - peraltro già rivelatosi un mero alibi alla prova del primo bilancio dell'era Polverini, nel quale il finanziamento per i consultori è stato tagliato - il centrodestra del Lazio con questa proposta di riforma mira come al solito, quando si tratta delle donne, ad imporre a tutta la collettività, per legge, comportamenti e mentalità. E così si cerca di trasformare i consultori familiari da servizi per la salute riproduttiva delle donne e il sostegno alla procreazione responsabile a confusi centri di consulenza alle famiglia - rigorosamente fondate sul matrimonio - di cui per altro non sono chiare né funzioni né strumenti.
Naturalmente non si contempla l'esistenza non dico delle coppie di fatto, ma neppure, a leggere bene, delle donne sole. Basta leggere la prima frase della relazione: «La proposta di legge regionale in commento, ridefinisce il ruolo dei consultori familiari, non più strutture prioritariamente deputate a fornire, in modo asettico, una serie di servizi sanitari o parasanitari alle famiglie, bensì istituzioni vocate a sostenere e promuovere la famiglia e i valori etici di cui essa è portatrice e che trovano solenne riconoscimento nella Carta costituzionale e nella Legge Regionale 32/2001 del Lazio». La laicità dell'azione pubblica viene dunque minata alle fondamenta: le strutture dello Stato non forniscono più servizi, promuovono "valori etici". E l'articolato non "delude" le premesse. Il consultorio diviene «strumento del compito generativo». Possono esseni ammesse solo associazioni che condividano questa finalità: quindi l'associazione Luca Coscioni o Vita di Donna non potrebbero partecipare. Il bersaglio finale è però l'insieme dei diritti garantiti dalla Legge 194/1978. Negli articoli in cui si parla di interruzione volontaria di gravidanza, la legge infatti assume un atteggiamento ideologico e persecutorio, connotato dal cosiddetto doppio percorso. Alle donne infatti non è proposto alcun percorso di sostegno ad una scelta responsabile, bensì un vero e proprio calvario psicologico. Si vorrebbe istituire un primo percorso di dissuasione dall'aborto, totalmente illegittimo, in contrasto con la legge 194.
Al termine di questo primo percorso, cui si dovrebbero offrire alle donne sostegni della cui copertura finanziaria naturalmente non si ha traccia. Poi, non ancora contenti, evidentemente la sofferenza non è ancora sufficiente, alle donne che scelgono dì ricorrere all'interruzione volontaria di gravidanza viene richiesto di firmare un consenso informato, in cui si specifica che la donna ha rifiutato il sostegno del consultorio. Non è tutto. Gli operatori del consultorio, su vigilanza di un comitato bioetica, dovrebbero inquisire sulle condizioni e sulle motivazioni di ogni singola donna. Persino con la sanzione finale, costituita dal dover cofirmare il documento in cui si dichiara espressamente di non aver voluto accedere alle per ora fantomatiche alternative. Il controllo dei comportamenti prevede dunque una vera e propria schedatura. sia delle donne che si rivolgono ai consultori che degli operatori. Anzi, una vera e propria lapidazione psicologica. Si tratta di proposte oscurantiste e del tutto inefficaci anche dal punto di vista del sostegno alla. gravidanza: non solo in questi trent'anni di applicazione della 194, è stato proprio il rispetto dell'indipendenza della scelta della donna a garantire la salute delle cittadine ed il valore della maternità quale scelta di vita consapevole e autonoma. E per di più i consultori sono più di trenta anni che funzionano e bene, grazie all'impegno delle operatrici.
I consultori non hanno bisogno di leggi. Hanno bisogno di soldi e personale. Chi pagherà, se mai questa legge dovesse passare, saranno le donne più deboli e in particolare le straniere, che oggi possono rivolgersi al consultorio; anche senza impegnative del medico curante e senza pagare ticket. Si rischierebbe di chiudere una delle poche porte rimaste aperte ai più deboli di un sistema sanitario nazionale sempre più tagliato e ridotto. Ma naturalmente la destra non dimentica mai, oltre alle grandi battaglie ideologiche, la garanzia e la promozione degli interessi di riferimento, ovvero i consultori privati, in particolare quelli confessionali che con questa legge sarebbero finanziati e praticamente senza obblighi. L'articolato infatti non prevede una procedura di accreditamento, con garanzie chiare e oggettive sui requisiti e i controlli necessari. Consente anzi di derogare alle poche regole oggi esistenti per l'accreditamento dei servizi sanitari di cui i consultori fanno parte. Collocati in un limbo giuridico che ne indebolisce la rete, per i consultori pubblici diverrebbe quindi incerto anche il finanziamento che oggi viene dal fondo sanitario nazionale. E così rimarrebbero solo i privati. Ricorrendo alla demagogia su un tema delicato e importante quale la maternità, il centrodestra con una mano propone la riforma dei consultori e con l'altra taglia i finanziamenti.
Il percorso della legge sembra essere comunque tutt'altro che scontato. L'eccesso di ideologia e interessi particolari comincia ad emergere, fin dalle prime audizioni con le province. Lo stesso assessore ai servizi sociali della giunta Polverini chiede una riflessione sulla legge. E un tema che le forze politiche di opposizione in Regione e la vasta mobilitazione di donne e di operatori hanno messo all'attenzione dell'opinione pubblica del Lazio e del Consiglio Regionale e continueranno a farlo, finché il pericolo non sarà evitato del tutto. Non consentiremo che la pelle delle donne divenga un mezzo di propaganda e di demagogia.
Lettera di un Consigliere regionale del Lazio Idv
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