
07/01/11
il Venerdì (la Repubblica)
Caro Serra, insieme a tanti altri credenti, sconsolato, mi chiedo: come può esser venuto in mente e nel cuore ad alti responsabili della vita ecclesiale di benedire una risicata vittoria parlamentare (quella che ha garantito la fiducia a Berlusconi), così discutibile nelle sue ragioni e così palesemente squallida nelle sue modalità?
Certo, è giustificato l’appello, da parte di alcuni prelati, a ritrovarsi in valori condivisi e a soddisfare l’esigenza di governabilità e stabilità, ma perché rendere un così esplicito omaggio alla posizione vincente di Berlusconi, come se questa fosse la vera, migliore garanzia del bene comune? Sembra incredibile che ancora il mondo cattolico non abbia maturato, a largo raggio, una decisa distanza critica o quanto meno un atteggiamento problematico nei confronti di tutto ciò che di devastante il berlusconismo rappresenta sul piano dell’etica pubblica: concentrazione smisurata di potere; culto dell’arrivismo individuale a dispetto di ogni regola; sfacciata esibizione del fatto che su tutto e tutti domina il ricatto del denaro; linguaggio politico che, mascherato di amore e moderazione, disprezza legalità, istituzioni, esistenza e ragioni dell’opposizione; uso spregiudicato, a fini elettorali, dei riferimenti alla sensibilità cristiana entro un contesto di stile personale e sociale mille miglia distante da dimensioni evangeliche di sincerità, sobrietà, limpidezza delle intenzioni e dei comportamenti.
Giorgio Palumbo - Palermo
Caro Palumbo, credo che la sua lettera (nonostante i tagli che sono stato costretto a infliggerle) esprima i sentimenti e le riflessioni di una parte significativa dei cattolici italiani. Ma non di tutti. Per molti, l’orientamento politico conservatore fa ombra a qualunque altra considerazione: se votano Berlusconi, nonostante i colpi evidenti che quel signore ha inferto ai valori e più ancora alla cultura cristiana, è perché voterebbero per qualunque destra fosse disponibile. Questo mi conferma - e lo penso da tempo - che la politica sia «più importante» della religione: nel senso che orienta e condiziona i comportamenti e le idee delle persone in maniera più determinante. Tra un cattolico di destra e un ateo di destra, ci sono molte più cose in comune che tra un cattolico di destra e un cattolico di sinistra. Che frequentano le stesse chiese, ma sulla gran parte dei temi sociali, etici, di pubblica rilevanza, la pensano molto diversamente. Non invidio le gerarchie ecclesiastiche, che pur in presenza di una lacerazione profonda del Paese, e di differenze spesso inconciliabili di pensiero tra i due campi politici in lizza, devono simulare una «unità» politica oggettivamente inesistente. Meglio farebbero, se posso permettermi, a non sbilanciarsi così sbadatamente in favore del governo meno cristiano mai visto sotto il cielo di questo Paese. E a esercitare il loro magistero spirituale bene al riparo da contaminazioni politiche così spicciole e così controverse, come nel caso che lei segnala. Se così non è, probabilmente dipende dal fatto che sulle parole della Cei incidono rapporti di potere e calcoli di convenienza politica.
Fortunatamente, i cattolici sono persone e sono cittadini. Ciascuno di loro è in grado di valutare e giudicare per conto suo. Naturalmente, anche di valutare e giudicare il palese sbilanciamento a destra del potere vaticano.
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