
11/11/10
Europa
Cara Europa, sono rimasta sorpresa e amareggiata nell’ascoltare dall’amatissimo presidente Ciampi, a una radio privata, che l’era di Berlusconi non è finita, perché il Berlusconismo è diventato una questione di forma mentis cioè di comportamento radicato negli italiani. Anche se è vero, si limita a quel 25 per cento di connazionali che ancora si dichiarano intenzionati a votare Pdl. Un quarto degli elettori, come il Pd. Perché dunque l’ottimo Ciampi vede così nero nel futuro dell’Italia, da immaginare non imminente la fine del berlusconismo degenerato?
Alessia Novelli, Milano
Cara Alessia, può capitare anche a te, giovane, come capita tanto spesso a noi adulti o
anziani, di ascoltare un po’ sommariamente, magari mentre siamo in macchina, cose
importanti e poi ricordarle in modo un po’ approssimativo, talvolta deformato. Ma voglio
rassicurarti: il presidente Ciampi, rispondendo alla radio della Confindustria (Radio 24)
alla domanda se la stagione di Berlusconi fosse finita, ha risposto «No, no, no, non è
finita, perché ha preso prevalenza su quel riferimento fondamentale che sono i valori e
le istituzioni. Non si tratta più solamente di singoli atti. È anche una questione di forma
mentis. Da alcuni anni, i due punti di riferimento, i valori e le istituzioni, sono stati messi da parte. La classe dirigente ha perso questi riferimenti e manca, dunque, l’esempio».
Come vedi, cara Alessia, si tratta di una vera e propria requisitoria contro il regime instaurato da questa destra di malgoverno. La forma mentis della privatizzazione delle istituzioni, dell’oltraggio alle forme e alla sostanza della democrazia, della Costituzione, dei poteri e dei valori che essi debbono incarnare e difendere, è imputata da Ciampi non ai cittadini, ma alla classe dirigente e al suo capo. Essi la diffondono da 16 anni, ormai, facendo sì che penetri profondamente nelle coscienze opportuniste o fragili e bisognose di miti, come la pioggia molto lunga penetra in profondità dove incontra le faglie. Ecco perché Ciampi teme che questa pioggia «fredda e greve» non stia passando. E lo aveva scritto in un libro uscito da poco, Non è il paese che sognavo, colloquio con Alberto Orioli vice direttore del Sole 24 Ore, edito dal Saggiatore. A me, questo «non è il paese che sognavo» ricorda «quest’Italia non ci piace» di un altro grande patriota liberale, Giovanni Amendola, direttore del Mondo e ministro di Giolitti, ucciso a manganellate dagli squadristi.
Oggi i manganelli sono mediatici, il duce veste in borghese, ma il risultato non cambia: si conferma che aveva torto il mio Croce, purtroppo, nel definire il fascismo una «parentesi» nelle magnifiche sorti e progressive dell’Italia "liberale". Invece era «l’autobiografia della nazione» che ritorna tra una pausa liberaldemocratica e l’altra. Per fortuna, la resistenza che per 16 anni un sempre malconcio centrosinistra ha fatto da solo, oggi è diventata controffensiva generale, che parte anche dall’interno stesso della destra. Insieme alla rivolta politica è in atto la rivolta culturale, finalmente: penso agli incontri che hanno preceduto la secessione di Fini, al Manifesto di ottobre che ne è nato per sottolineare la possibilità di riportare la destra dalla satrapia all’Occidente. Penso al Secolo d’Italia che ieri pubblicava due pagine sul libro di Valter Vecellio intitolato Marco Pannella, biografia di un irregolare (Rubbettino); e al grande successo dell’iniziativa del Corriere della sera di ristampare, un euro a volume, i grandi classici della civiltà laica moderna: a cominciare dal Trattato sulla tolleranza di Voltaire. Con queste semine nasce erba verde, destinata a risanare i cervelli sviati dalla forma mentis. Che per durare ancora mi permetta il presidente Ciampi - dovrà tenersi sulle stampelle della legge "porcata" e del cardinale Bertone. Ma se gliene togliamo una, la legge elettorale, dura minga, come dite a Milano.
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