
Cara Europa, Silvio Berlusconi è un uomo che conosce, o dovrebbe conoscere, i mezzi di comunicazione. È al corrente di quello che, da anni, dicono di lui il New York Times, il Washington Post, il Los Angeles Times, Time Magazine, The Guardian, Indipendent, The Economist, Le Soir, El Pais, El Mundo, Abc, Le Monde, Le Figaro, Die Welt, Frankfurter Allgemeine Zeitung...? Ovviamente legge solo il Giornale e forse il Foglio, altrimenti non avrebbe detto la boutade del 5 dicembre.
Pierleone Ottolenghi, Roma
Caro Orlando, Rita Bernardini e altri colleghi radicali hanno attenuato lo sciopero della fame, che conducevano da 41 giorni, essendosi aperto uno spiraglio in parlamento per l’espressione di voto a favore dei reclusi che ne abbiano facoltà. I giornali non ne hanno parlato. Da noi si parla solo di quelli che si abbuffano e che i diritti li calpestano.
Paolo Izzo, Roma
Cari Ottolenghi e Izzo, chiedo scusa se ho inzeppato le vostre lettere, tagliando specialmente la seconda, nella gabbietta riservata ad hoc dai grafici (850 battute complessive, nelle quali prego chi ci scrive di tenersi). La lettera del finanziere e quella dello scrittore riguardano lo stesso tema: l’indifferenza dei potenti all’informazione e dell’informazione verso i deboli. È un tristissimo quadro dell’indifferenza collettiva ai problemi comuni: non siamo mai riusciti a «fare gli italiani». La miseria e l’egoismo del «Ciascuno per sé e Dio per tutti», ci costringono nel pantano morale e civile da secoli, checché ne dica il cardinale Scola che vorrebbe attribuirne le colpe allo stato laico.
La questione dello sciopero della fame, interrotto dopo 41 giorni e passato sotto silenzio, appartiene a quell’abitudine dei giornalisti di considerare i giornali cosa propria, sempre pronti a disinformare e a dileggiare avversari e sconosciuti, ma arrogantemente restii a pubblicare rettifiche per ristabilire la verità dei fatti e l’onore degli offesi. E ciò spiega in parte la vicenda di Sallusti, il direttore del Giornale berlusconiano, finito agli arresti domiciliari anche per essersi rifiutato di ammettere il proprio errore (errore del direttore è anche quello di pubblicare lo scritto diffamatorio di un terzo, tanto più se quel terzo è anche conosciuto come diffamatore).
Giorni fa Berlusconi scese in campo per difendere il suo direttore; o meglio il proprio “diritto” di vivere fuori legge e di non pagarne mai le conseguenze. E questo è stato l’antipasto della boutade del 5 dicembre, cui è seguita la decisione del 6 di uscire dalla maggioranza che sostiene Monti, rea di volere una legge che proibisce ai condannati di sedere in parlamento.
Ben dice Ottolenghi: se si fosse guardato nello specchio della stampa internazionale, probabilmente avrebbe per una volta sentito il pudore (che dicono si senta da vecchi) di farsi dimenticare dagli italiani. Invece annuncia la sua discesa in campo per la sesta volta, «per salvare l’Italia», cioè se stesso. Tuttavia, credo che non legga più nemmeno Il Foglio: che da tempo non lo incoraggia a tornare in campo. E s’è ripreso la palla. Ma, come scrive appunto il giornale di Ferrara, il Cavaliere resta sempre uguale a se stesso, insondabile, umorale, capace di cambiare idea all’ultimo momento, «non persuaso fino in fondo di doversi candidare a elezioni che il centrodestra andrà quasi sicuramente a perdere».
Però al momento il candidato è lui, invocato come il salvatore da deputati e senatori in cerca di poltrona. Un guazzabuglio mentale, roso dal tarlo che infine meglio muoia Sansone con tutti i filistei. Quando si dice i patrioti della destra...
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