
Ha fatto notizia il ritorno in libertà di Pierluigi Concutelli, il leader di Ordine Nuovo, che, nel 1976, uccise a Roma il sostituto procuratore Vittorio Occorsio. Il nipote del magistrato ha affermato che il terrorista avrebbe meritato la pena di morte. Nel novembre 2007 all'Onu venne votata una risoluzione sulla moratoria della pena di morte, fortemente voluta dall'Italia e, in particolare, dai Radicali. Come ebbe modo di scrivere in quei giorni Edoardo Pittalis, «si tratta di un fatto importantissimo e di una conquista di civiltà» e «forse non è lontano il giorno in cui il boia si sveglia e scopre di non avere più lavoro nel mondo».
Viene a questo punto da chiedersi quale efficacia abbia avuto la risoluzione votata all'Onu che, in quel tempo, aveva suscitato molte speranze. Leggendo il recentissimo "Rapporto sulla pena di morte" di Amnesty International riscontriamo luci e ombre. Infatti, mentre da un lato il numero complessivo delle esecuzioni ufficiali è calato da almeno 714 nel 2009 ad almeno 527 nel 2010, dall'altro lato il Rapporto mette in evidenza una serie di passi indietro: nel 2010, sei Paesi hanno eseguito condanne a morte dopo un intervallo nelle esecuzioni. Due regioni, Asia e Medio Oriente, sono state responsabili della maggior parte delle esecuzioni nel 2010. In particolare la Cina ha usato la pena di morte nei confronti di migliaia di persone per un'ampia serie di reati, anche di natura non violenta e al termine di procedimenti che non hanno rispettato gli standard internazionali sui processi equi. Mi pare che non si possano che condividere le considerazioni finali espresse da Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International: «Ogni paese che continua a eseguire condanne a morte sfida le norme sui diritti umani e gli organismi delle Nazioni Unite. L'obiettivo finale di ogni Paese dovrebbe essere l'abolizione della pena capitale. Un mondo libero dalla pena di morte non solo è possibile, è inevitabile. La domanda è quanto ci vorrà».
Luigi Fistarollo
Mira (Ve)
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