
29/10/10
l'espresso
Cara Rossini, dall’inizio dell’anno i suicidi in carcere sono cinquantacinque... e nessuno ne parla. Molte persone al di là del muro di cinta si domandano perché molti detenuti si tolgano la vita. Invece molti detenuti al di qua del muro si domandano quale motivo hanno per non togliersi la vita. Da un po’ di anni a questa parte la cosa più difficile in carcere non è più morire, ma vivere. I detenuti vengono controllati, osservati, contati, ogni momento dei giorno e della notte, eppure riescono facilmente ad uccidersi. Diciamo la verità: non importa a nessuno se si tolgono la vita. Questo accade perché la grandissima maggioranza di loro è costituita da individui disperati, poveri cristi, immigrati, tossicodipendenti, disoccupati e analfabeti. Eppure di questa "gentaglia", di questa "spazzatura umana" non andrebbe buttato via nulla, perché con lo slogan "Tutti dentro" e "Certezza della pena" i partiti più forcaioli vinceranno le prossime elezioni. Nella stragrande maggioranza dei casi la morte in carcere è la conseguenza di un comportamento passivo e omissivo dello Stato, che scaraventa una persona in una cella, la chiude a chiave e se ne va. Lo Stato non fa nulla per evitare la morte in carcere, non per niente l’Italia è il Paese più condannato della Corte Europea dei Diritti Umani.
Carmelo Musumeci, Carcere di Spoleto
Carmelo Musumeci, Carcere di Spoleto
Musumeci è un ergastolano celebre, almeno per i frequentatori della rete dove scrive senza sosta commenti, appelli, racconti sulla situazione carceraria. Leader di una campagna per l’abolizione dell’ergastolo, si è guadagnato il suo in una feroce guerra tra clan che operavano in Toscana. Poi, in vent’anni di carcere, dove è entrato da semianalfabeta, è arrivato a laurearsi in Giurisprudenza. La sua lettera è una testimonianza diretta del degrado umano e civile delle carceri italiane, dove si suicidano soprattutto i giovani, quasi tutti arrestati da poco, a dimostrazione di come sia il primo impatto con la reclusione quello più brutale e annichilente. Musumeci segnala l’indifferenza che avvolge questa indecenza sociale, la stessa dove si va perdendo anche l’ultimo sciopero della fame di Marco Pannella che, indomito nei suoi ottant’anni, digiuna da settimane su una situazione che definisce "una riproposizione morale e istituzionale della Shoah". Parole forti che non hanno scosso nessuno.
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