
Caro direttore, avrei voluto essere lì, nella Sala del Mappamondo di Montecitorio, per partecipare anch’io con voi a una iniziativa meritoria che apprezzo da cittadino e da lettore antico del Sole 24 Ore.
Purtroppo chi, come me, si ritrova a svolgere un certo ruolo, non è padrone del suo tempo e non è libero di scegliere, né di decidere il programma della sua giornata. L’agenda è dettata dagli altri, imposta dal succedersi affannoso e spesso imprevedibile degli avvenimenti e dagli adempimenti non rinviabili. Non basta la buona volontà, bisogna essere disponibili e pronti alla rinuncia, rassegnati a chiedere scusa per ogni involontaria e incolpevole "diserzione", e a confidare nell’altrui comprensione. Forse, per farmi perdonare, potrei fare appello alla testimonianza di chi mi ha seguito e preceduto in questo incarico, e sa perciò come tutto questo possa capitare, e capiti più spesso, proprio quando più ti costa la rinuncia. E questa volta mi dispiace come non mai.
Ci tenevo a essere presente, perché questa è un’occasione importante: un incontro che segna un momento nel quale si fa memoria di importanti, anche se dolorosi, istanti della nostra storia, e contemporaneamente, un’occasione nella quale si può e si deve guardare al futuro.
La memoria: consentitemi di condividere con voi un ricordo che è difficile da cancellare e risale alla mia precedente esperienza di governo quando, la mattina del 12 novembre 2003, fui raggiunto dalla notizia di un attentato alla base dei Carabinieri «Maestrale» a Nassiriya in Iraq. Le prime informazioni erano vaghe, inizialmente si parlava di pochi feriti, poi si comprese che c’era stato qualche morto, fino al momento in cui dovemmo tristemente prendere coscienza del fatto che 19 connazionali non avrebbero fatto più rientro a casa.
Fuunoshockper l’Italia intera, manella tragedia e nel dolore che tutti ci accomunò, scoprimmo, o meglio riscoprimmo, di essere un popolo unito, di essere italiani nell’accezione più forte e nobile del termine.
Il nostro paese si riscoprì orgoglioso dei "suoi eroi", fiero di militari e civili che avevano pagato con la vita l’impegno per la pace e per la sicurezza. Un impegno non solo per noi e per i nostri connazionali, ma anche al servizio di popolazioni lontane.
Questo ricordo che guarda al passato si coniuga con un pensiero al futuro: la mia età, la mia esperienza professionale e personale, la mia attuale condizione di giornalista prestato alle istituzioni mifannopercepire in maniera chiara un obbligo checredo di avere, anche personalmente, nei confronti dei più giovani.
Il dovere della testimonianza: ritengo che noi adulti - meglio dovrei dire noi anziani - abbiamo un dovere speciale nei confronti dei giovani che non hanno vissuto la privazione della libertà e la guerra. Sono convinto che spetti a noi raccontare, trasmettere, aiutare a conoscere e a non dimenticare, quanto sia preziosa la pace e quanto la responsabilità di custodirla, mantenerla, proteggerla sia un dovere che ci riguarda tutti.
Non c’è retorica in quello che dico, ma una semplice e doverosa constatazione che meglio di me ha saputo esprimere il generale Ficuciello con il quale ho avuto il privilegio di lavorare a stretto contatto a Palazzo Chigi. Lo ha fatto proprio domenica sulle colonne del Sole 24 Ore: «Nonè più tempo - scrive - di statue-monumento, della vittoria alata o delle mamme che tengono tra le braccia il figlio morto. È tempo di passare piuttosto alle biblioteche-monumento. Non dobbiamo celebrare più solo il ricordo di un sacrifìcio, ma chiamare a raccolta gli altri, soprattutto i più giovani, per dire loro: datevi da fare anche voi per costruire le condizioni di democrazia e di sicurezza per un mondo migliore».
Il generale Ficuciello è padre di uno dei caduti di Nassiriya e non poteva riassumere meglio il significato e il valore dell’iniziativa del Sole 24 Ore, che merita non solo consenso e simpatia, ma apprezzamento, sostegno e gratitudine. Essa ha il pregio di ricordare senza retorica e di proporre per celebrare, rievocando, quei fatti attraverso le storie e l’impegno delle persone.
Sono le persone, gli uomini e le donne che militando nelle Forze armate o nei corpi di Polizia, servendo nelle Ongenelleassociazioni di volontariato, rendono possibile proprio ciò che si propone di celebrare l’iniziativa del Sole 24 Ore: la capacità di servire il proprio paese, mettendo a disposizione, donando per usare un termine forse oggi desueto, il bene più prezioso di cui si dispone: la vita.
Grazie alla mia attuale esperienza ho modo di confrontarmi spesso con i governanti di paesi stranieri con i quali concorriamo nel mondo nel corso delle operazioni a sostegno della pace; da tutti ricevo il ringraziamento per questi "operatori di pace" che svolgono il loro compito in maniera davvero speciale, con una professionalità che tutti apprezzano e della quale dobbiamo essere orgogliosi, arricchita però da una componente tutta italiana che permette loro di rapportarsi in modo diverso, forse più umano, con le popolazioni di quelle terre martoriate dalla guerra. Un "supplemento d’anima" che li rende diversi dagli altri, che ispira fiducia e suscita simpatia e li rende perciò più apprezzati e più amati.
Sono profondamente convinto, e mi piace ribadirlo qui, in questa occasione, che molto del prestigio del quale gode il nostro paese nel mondo passi soprattutto per lo spirito di sacrificio e la dedizione dimostrati da parte dei tanti servitori dello stato, molti dei quali hanno pagato proprio con la vita la loro fedeltà e la loro passione per le istituzioni e per la pace.
Ricordarli significa non soltanto dar testimonianza nel tempo al loro sacrificio, ma compiere un’opera altamente civile di cui desidero dare atto pubblicamente al Sole 24 Ore e al suo direttore Gianni Riotta. Significa saper parlare al paese e contribuire a tener vivo quel sentimento di coesione nazionale che oggi, più di ieri è necessario coltivare e diffondere. Grazie!
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