
Nonostante ogni invito alla tregua, al passo indietro, alla responsabilità nei toni e nelle azioni della politica per evitare ulteriori escalation polemiche, la tentazione di drammatizzare la situazione italiana resta ben viva e rischia di produrre ulteriori e gravissimi effetti. Il parallelo con gli anni`70 (respinto da chi ne è rimasto vittima, compreso Umberto Ambrosoli che lo ha stroncato con autorevolezza sul Corriere della Sera di ieri), viene tenuto in piedi al di là di ogni ragionamento. Allora si introdusse con decreto l`associazione a fini eversivi, il fermo preventivo di polizia e le perquisizioni senza mandato, oggi si immaginano misure contro i social network e una specie di Daspo (il divieto di accedere agli stadi inventato per i tifosi violenti) per interdire - immaginiamo - la partecipazione di piazza ai soggetti "a rischio". Il ministro dell`Interno Roberto Maroni ne ha parlato apertamente ieri alla Camera: «Sono in corso approfondimenti di livello tecnico - ha detto - per verificare la possibilità di iniziative legislative per contrastare più efficacemente gli episodi di violenza in caso di manifestazioni pubbliche sulla falsariga di quanto già avviene per combattere la violenza negli stadi». E poi, parlando con i giornalisti, ha confermato l`intenzione di inasprire le misure anti-contestazione ed estenderle anche ai periodi che non riguardano la campagna elettorale. A questo si dovrebbero aggiungere norme riguardanti internet: «sono misure che stiamo valutando per garantire ai cittadini e a chi ha compiti istituzionali di poter svolgere tranquillamente la propria azione». Speriamo che su questa linea si svolga qualche supplemento di riflessione. Anche perché sarebbe difficile spiegare misure di questo tipo quando è chiaro a tutti (lo hanno raccontato i testimoni oculari, a cominciare dal ministro della Difesa La Russa) che a Milano il vero anello debole sono state le misure di vigilanza sul comizio di Berlusconi, così malaccorte da consentire l`arrivo fin quasi sotto il palco di un folto gruppo di contestatori e così superficiali che un poliziotto ha ignorato la segnalazione di due militanti del Pdl sull`evidente stato di agitazione di Massimo Tartaglia. Sarebbe meglio verificare l`operato della questura piuttosto che immaginare metaforiche "bande chiodate" contro future provocazioni di piazza. Quanto ai social network, ieri hanno spazzato via migliaia di "post" antiberlusconiani in un`operazione di pulizia con pochi precedenti, tesa a dimostrare che la rete è capace di sanzionare gli eccessi: «Su Facebook - ricordano i gestori - già ora non è permesso promuovere o pubblicare contenuti violenti o minacciosi». «Non permettiamo che le follie di qualcuno danneggino la libertà di tutti», commenta Benedetto Della Vedova, ricordando che nel nostro ordinamento esiste da molto tempo il reato di istigazione alla violenza, perseguibile anche quando commesso attraverso i nuovi strumenti di comunicazione telematica «e sarebbe bene evitare, dunque, di praticare la lotta all`istigazione alla violenza con provvedimenti straordinari che inevitabilmente rischierebbero di sconfinare nella censura». Non sorprende che sia stato l`esponente del Pdl il primo a esprimersi in toni critici sulla prospettiva di un giro di vite del Viminale: proviene, come è noto, dalla sua precedente militanza in quel Partito Radicale che contro le antiche "leggi speciali" si battè anche in sede referendaria. Non da solo: contro la legge Reale sull`ordine pubblico votò compatto, nel 1978, anche l`intero gruppo missino alla Camera e al Senato, ritenendo quelle misure illiberali e capaci solo di alzare il livello dello scontro: c`erano già stati - si badi bene - il rogo di Primavalle e via Zabarella (l`assassinio di Mazzola e Giralucci a Padova), eppure c`era tra noi la convinzione assoluta che la difesa dei principi dello Stato di diritto fosse la sola roccaforte che poteva portar fuori l`Italia dall`incubo. All`epoca, una politica da destra capace di "leggere la storia", induceva a diffidare delle scorciatoie, delle misure estreme e populiste, della repressione fine a se stessa che di solito enfatizza i problemi più che risolverli. Qualcuno, in quell`antica classe dirigente, ricordava, magari, la storia di Giovanni Passannante, il cuoco lucano che nel 1878 ferì Umberto I a Napoli: era un folle, fu arrestato e torturato perché svelasse una congiura che non c`era insieme a "sovversivi" rastrellati in tutto il Paese in una gigantesca retata. Finì che diventò un eroe esaltato persino da Giovanni Pascoli (che per la sua «Ode a Passannante» si fece mesi di carcere). Oggi, davanti a problemi oggettivamente diversi - Tartaglia è un pazzo "certificato" da dieci anni di cure psichiatriche - il centrodestra dovrebbe evitare di lasciarsi trascinare su una linea di inasprimento censorio, che contraddice tutta la sua impostazione programmatica e la sua vocazione alla libertà, e rischia di costruire martiri laddove ci sono solo squilibrati manifesti. Inimicarsi il cosiddetto "popolo del web", poi, sarebbe davvero il massimo visto che finora si tratta di un`area tendenzialmente simpatizzante per il centrodestra proprio in nome della sua attitudine libertaria. È vero, su Facebook sono apparsi gruppi pro-Tartaglia intollerabili. Ma sono durati ventiquattr`ore ed è difficile immaginare quei deliri verbali come l`anticamera di movimenti eversivi. Come ha osservato giustamente Umberto Ambrosoli, oggi non solo manca il presupposto "ideologico" di una degenerazione del conflitto, ma soprattutto «il contesto sociale e politico» che negli anni `70 «aveva attivato, sorretto e diffuso quelle gravissime tensioni», in un`Italia «pervasa da un forte sentimento di ingiustizia sociale che, da sempre, costituisce la miccia di manifestazioni di violenza». Oggi chi scrive sul web è travolto più dalla noia e dalla ricerca di visibilità che dall`angoscia e dal sentimento di sopraffazione che incendiò il Paese nella nostra adolescenza. E non dimentichiamo che la censura è un`arma a doppio taglio: i social network non sono "roba da comunisti". Secondo un recente sondaggio della Swg di Trieste il 39 per cento dei "frequentatori" abituali si definisce di destra o centrodestra e il 37 per cento di sinistra o centrosinistra. Quasi bulgaro (tocca l`85 per cento) è comunque il dato di coloro che si dicono contrari a qualsiasi legge per aumentare il controllo legislativo sulla rete. Comprendiamo che al ministro Maroni questo tipo di "gente" interessi fino a un certo punto, visto che corrisponde poco allo standard del leghista tipo, più ferrato nella cosiddetta politica di presenza sul territorio che sui nuovi strumenti di comunicazione. Ma noi, noi del Pdl, dovremmo essere estremamente cauti: se non per convinzione, almeno per opportunismo...
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