
Tante buone intenzioni e poche illusioni, oltre alla certezza che ai partiti interessano molto di più le primarie che non la legge elettorale. Carlo Vizzini, presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, allarga le braccia: «Se non si fa una riforma del Porcellum, ci si troverà di fronte al paradosso di partiti che, dopo aver svolto le primarie per la scelta del loro candidato a Palazzo Chigi, dovranno trattare individuando un programma e accordandosi sul nome di un presidente del Consiglio».
Si vedrà. E lo si vedrà fin da oggi visto che in commissione alle 12 scade il termine per la presentazione dei sub emendamenti ai testi di Malan e Bianco sul premio di maggioranza. «Verificheremo quanto il terreno è arido o, al contrario, fertile, coltivabile per far nascer la riforma», aggiunge Vizzini. Ma a ben vedere tutto lascia presagire che in aula, perché il testo andrà all'esame dell'assemblea entro fine mese (il 26 novembre), si andrà senza accordo tra i partiti. Gianfranco Fini, presidente della Camera, è pronto a ricevere il testimone. E a Roberto Giachetti, deputato del Pd, da oltre due mesi in sciopero della fame proprio per chiedere un nuovo sistema di voto, Fini assicura «una rapida discussione», quando il testo arriverà a Montecitorio.
Al Senato, intanto, resta protagonista il leghista Roberto Calderoli, già padre del "Porcellum" e instancabile quando si tratta di sistemi elettorali. L'ex ministro ci riprova con un complicato sistema di premi ai partiti. «Si tratta di un sistema con quattro scaglioni che assegnano un bonus proporzionale a seconda che il primo partito e/o coalizione superi le soglie del 25%, del 30% del 35% e del 40%. E il partito o coalizione che supera il 40% dei voti raggiunge come minimo il 52,8% dei seggi, cioè la maggioranza assoluta». «Speriamo in qualche segnale di fumo da parte di Pd e Pdl», dice Calderoli, che altrimenti potrebbe rinunciare a presentare la sua proposta.
Il Pd boccia l'idea mentre il Pdl è disponibile a discuterne. Per i democratici, che vorrebbero il doppio turno alla francese, il massimo della concessione è «la soglia di sbarramento del 5 per cento». Dice il segretario Pier Luigi Bersani: «Abbiamo rinunciato alla nostra proposta iniziale. Ci sono ancora i tempi per riformare la legge attuale». Stefano Ceccanti, senatore democratico, crede poco a una svolta a Palazzo Madama: «Sulla legge elettorale non c'è nessun accordo, si comincia a votare da domani (oggi per chi legge, ndr.) a oltranza in commissione, e se il Pdl non cambia linea sarà scontro inevitabile». Pier Ferdinando Casini, leader Udc, insiste sulla necessità di cambiare il sistema di voto: «Si deve fare una nuova legge elettorale. Bisogna restituire agli italiani la possibilità di scegliere i propri parlamentari». Ma a essere convinta che ben poco accadrà, perché oramai troppo a ridosso delle elezioni, è Emma Bonino: «Siamo a fine novembre. La Commissione di Venezia e una sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo dicono che le leggi elettorali si cambiano almeno un anno prima. La commissione in Senato sembra totalmente impantanata, ogni parlamentare parla per sé, e la sola idea che si affidi a Calderoli la mediazione di questa nuova "porcata" mi sembra significativa».
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