
Finiani contro berluscones.
Che i mafiosi non debbano far campagna elettorale per i politici sembrerebbe la cosa più ovvia del mondo, e altrettanto che il Parlamento condivida un così elementare principio. E invece fino a ieri sera, quando mandando in scena la spaccatura del Pdl la Camera ha approvato una apposita legge che sarà davvero tale solo se verrà approvata anche in Senato, una norma simile non c`era. Bisogna leggere bene i numeri per capire la qualità del provvedimento e la dimensione del caso politico: da uno a cinque anni per chi accetterà che boss e picciotti acclarati (e cioè condannati) preparino pacchetti di voti per far eleggere un candidato. La Lega fermissimamente approva, pd, udc e finiani pure. I berluscones no, e strillano «è una trappola
contro Berlusconi», «i finiani sono eroi del Pd», dice Osvaldo Napoli. Dario Franceschini si frega le mani, «il Pdl è diviso».
La legge, prime firmatarie le democrats Sabina Rossa e Rosa Calipari, è del maggio 2008, viene studiata con la lente d'ingrandimento per 21 sedute in commissione finchè il 17 febbraio scorso c'è un accelerazione, la pol Angela Napoli ci lavora di fino e la si porta in Aula. Prendono la palla al balzo, uniti, Pd, Udc, Lega e finiani del Pdi, su un testo condiviso, «una grande prova di democrazia», dice il vicepresidente dell`Antimafia, il finiano Granata. E sarebbe un occasione
d'oro, di questi tempi, pure per la maggioranza di Berlusconi che dichiara ogni giorno di voler far piazza pulita dei corrotti. Non è così perché la legge passa alla Camera con 354 voti favorevoli e 7 contrari. Ma i 34 astenuti sono tutti del Pdl, molti del più stretto giro berlusconiano, la sua ex assistente Deborah Bergamini, Dell`Elce, Landolfi, Pecorella, Stracquadanio, Ventucci, Testoni, Elvira Savino. «Attenti, rischiamo di dare uno strumento alla
mafia per far fuori i nostri candidati migliori, quelli puliti», gridava Stracquadanio nel lasciare, però, libertà di voto. «Io raccolgo tutti i giorni le lacrime degli indagati, degli innocenti di cui si distrugge la reputazione, possiamo far passare una norma di pura propaganda elettorale?», si chiedeva il peone del Pdl Francesco Paolo Sisto portandosi in Aula da avvocato penalista qual è, provandosi pure a far mettere ai voti un emendamento fuor di programma, che avrebbe rovesciato un pò il senso della legge, subito stoppato dall`esperto
di regolamenti del Pd Giachetti. Per il governo, il sottosegretario di Alfano, Giacomo Caliendo, invitava a votare sì. Niente da fare, «mica possiamo fare moralizzazione per legge», diceva Jole
Santelli, che fu sottosegretario alla Giustizia nel precedente governo Berlusconi. «Oggi è il giorno in cui è nato Craxi, voto no», diceva il socialista-forzista Barani.
Per fare chiarezza era dovuta intervenire Giulia Bongiorno, la giurista di Fini, la penalista cui Andreotti deve l'assoluzione, perchè il dibattito, con l'aria che tira attorno al Palazzo, avrebbe dovuto filare via tranquillo, e invece è andato in scena un surreale battibecco sul garantismo. «Così non ne usciamo» ha detto Bongiorno, «questa è una legge garantista, sono stati messi dei
paletti, per perseguire il candidato bisogna provare che sapesse di utilizzare un mafioso, e il mafioso deve essere stato condannato». E poi, durissima, «mica c'è tutta questa necessità che i candidati chiedano, giusto giusto, a un sorvegliato speciale di far campagna elettorale». I berluscones, in soldoni, temono che la mafia possa spontaneamente cercare pacchetti di voti per silurare i candidati puliti. «Certo che se siete a questo punto, auguri per l`approvazione del pacchetto anti-corruzione voluto dal governo», chiosa il pd Michele Bordo, sperando che al Senato invece ci sia una (improbabile) corsia preferenziale.
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