
E` arrivato Berlusconi: quello di ritomo dalla pausa obbligata dall`aggressione di Milano, quello che oggi si appresta ad occupare lo spazio pubblico della politica, per provare a ridefinirlo. E` arrivato fin da ieri, con appena un assaggio dedicato ad alcuni fedeli eurodeputati del Pdl, per via telefonica. Ovviamente, un assaggio rimbalzato subito agli onori dei titoli di testa mediatici. Soprattutto, in serata, per un "giallo": perché il presidente del Consiglio dei ministri ha definito il 2010 «un anno di lavoro intenso, non particolarmente difficile ma comunque impegnativo», per le regionali come primo appuntamento d`«impegno», appunto, ma anche per obiettivi di consenso e di tenuta più strategici quali le «riforme della giustizia; della scuola e del fisco, con la riduzione delle tasse per i cittadini». Quest`ultima subordinata, sostiene il portavoce Bonaiuti a sera, Berlusconi non l`avrebbe «mai pronunciata». E si capisce che dietro la precisazione c`è chi intanto deve affrontare obiettivi ben più terragni, di tenuta almeno se pur non di consenso: ossia il superministro Tremonti, che sa un po` meglio cosa si può promettere e cosa no. E soprattutto, nel ben più che critico quadro attuale, cosa può scatenare una promessa generica di quel genere, fra gli interessi in conflitto. Resta, comunque, quanto il Cavaliere alla vigilia del ritorno "in campo" ufficiale odierno ha precisato, a proposito delle «riforme» in generale: «Siamo pronti a fare le riforme con il consenso degli altri, ma se questo non ci fosse andremo avanti da soli». Il che, con il quadro complesso e quasi paradossale delle alleanze in vista dell`appuntamento delle regionali di fine marzo, un po` c`entra. A partire dall`orizzonte interno, nel quale questa affermazione non può che far contenta la Lega e far fibrillare il fronte sofferente degli ex-forzisti del Pdl, oltre che aumentare le distanze dai fininiani proprio mentre la candidata con più vantaggio su un possibile "sfondamento" nelle regioni attualmente di centrosinistra è proprio la finiana Polverini nel Lazio (non a caso bombardata da Feltri). Ma significa anche avallare quanto sostenuto da Fabrizio Cicchitto su Libero di ieri, con là teoria delle «due opposizioni», quella della linea «che teoricamente ci sarebbe» di «Pd e Udc» e quella del «fronte dell`odio»: un segnale, insomma, più che altro rivolto a Bersani e Casini, che precisamente sulle regionali trovano il banco di prova della «linea» allusa da Cicchitto - e della sua collisione con chi, politicamente, dovrebbe rappresentare quel «fronte dell`odio». Dal lato del Pd, certamente la situazione non pare semplice. Una volta affondato il colpo di Boccia in Puglia per attrarre l`Udc all`accordo, è stato subito evidente il contraccolpo su altri scacchieri. Come nel Lazio: dove l`«esplorazione» ulteriormente affidata a Nicola Zingaretti s`è conclusa già ieri sera, con il presidente della Provincia a comunicare d`aver confidato a Bersani e al segretario regionale Mazzoli che un`«intesa larga» non è «al momento matura» e d`aver loro affidato la scelta tra «una candidatura nazionale, che rappresenti una novità» o «il sostegno a Emma Bonino». Proprio la candidata - per cui si schiera anche buona parte del fronte "delle primarie" interno al centrosinistra laziale, in testa Nieri di SeL - contro la quale aveva scagliato poche ore prima il suo ukaze Casini, avvisando pubblicamente che in caso di scelta del Pd per l`esponente radicale l`Udc «certamente» opterebbe per il voto alla candidata Pdl, Polverini. Nel frattempo, in Calabria il Pd alle primarie ci va, più diviso che mai. E in Campania invece il tavolo della trattativa coi possibili alleati del Pd è saltato ieri, in mancanza di scelta del candidato piddino e soprattutto di qualcosa che venga prima e vada oltre le candidature e le geometrie. In tutto ciò, se c`è un caos non è quello di chi subisce a sinistra l`effetto della scelta bersaniana per la «priorità Udc»: ma proprio quello nel Pd, più lacerato che mai.
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