
Ogni giorno sul “Foglio” c'è una rubrica intitolata “Preghiera”. Già questo mi tiene lontano dalla sua lettura, oltre al fatto che chi la firma, Camillo Langone, una volta ha scritto che l'unica cosa che apprezzava del Cile era Pinochet. Forse per il caldo, ieri gli ho dato un'occhiata. Langone citava un libro di una gloria del giornalismo liberale e meridionalista, Giovannino Russo. Un libro del 1958 "L'Italia dei poveri ". Ne prendeva le impressioni di Russo su Venezia a quell'epoca, o meglio selezionava due concetti, da un reportage sicuramente più profondo, per avallare il concetto reazionario (suo e non di Russo) che non vale provare a migliorare il mondo. I due concetti su Venezia erano il turismo che non si fermava a dormire- evidentemente la questione si poneva già nel 1958- e i giovani che, racconta Russo, non lavoravano con entusiasmo perché i loro contratti erano solo di tre mesi in tre mesi. Oggi si chiamerebbe precariato.
La morale di Langone è che se mezzo secolo fa le cose andavano così è consolante pensare che così possano continuare. C'è un piccolo particolare che Langone cita ma non nota. I giovani di cui parlava l'autore erano manovali che lamentavano di restare troppo a lungo nel gradino più basso delle mansioni. Nel 1958 era semplicemente impensabile che un laureato avesse di fronte a sé il precariato. Dunque non è vero che le cose restano uguali, talvolta peggiorano. Anche perché quei manovali un po' di strada da allora l'hanno fatta, grazie a un sindacato che ha saputo combattere per migliorarne la condizione. I giovani disoccupati di oggi sembrano più sfortunati anche da questo punto di vista.
© 2011 Il Riformista. Tutti i diritti riservati