
22/10/10
Liberal
Dunque esiste anche un antiberlusconismo di destra, si son detti alcuni osservatori di superficie di quella strana e multiforme creatura che è la destra italiana e più in particolare la destra finiana dopo che sul web, s'è materializzato il dissenso neofuturista verso il voto favorevole di Fli al nuovo lodo Alfano.
Eppure sarebbe bastato ripercorrere anche solo a volo d'uccello la storia della destra italiana degli ultimi vent'anni o indagare con un poco d'attenzione la sua rielaborazione culturale e politica, parlare con qualche suo esponente o militante, leggere qualche rivista o rivistina d'area per cogliere un diffuso e spesso acuto sentimento di diffidenza, se non di ostilità, nei confronti del berlusconismo inteso come categoria ideologica e antropologica. Certo, s'è trattato per più di tre lustri di un sentimento represso, celebrato di sottecchi, sovente dissimulato con consumata abilità o al contrario, nei momenti polemici, affermato attraverso la rivendicazione orgogliosa d'una diversità che affondava nella propria storia le sue radici e nella consapevolezza di avere ascendenze e padri nobili di contro ai parvenu della politica con cui la destra s'era, a un certo punto, trovata alleata.
Un certo punto che coincide con il punto di svolta e di snodo della storia repubblicana: l'interregno tra la fine della prima Repubblica e l'inizio della seconda, dove viene siglata l'inedita alleanza tra Silvio Berlusconi, imprenditore legato al mondo socialista craxiano e il segretario del Msi Gianfranco Fini. Un'alleanza il cui innesto è lo sdoganamento del giovane segretario missino eternamente rinfacciato dal Cavaliere - alla vigilia delle elezioni amministrative di Roma dove Fini è candidato contro Rutelli.
Il passaggio che funziona da saldatura di questa intesa è la simultanea riconversione del Cavaliere e di Fini alle ragioni del garantismo dopo aver cavalcato a lungo e senza esitazione la tigre del giustizialismo e di Mani Pulite. Le monetine del Raphael contro Craxi partono dalle mani di molte centinaia di militanti organizzati dal Msi come sono missini i guanti bianchi agitati in parlamento nei giorni delle manette e dei processi in Tv.
Affondano anche qui, nella stagione di mani pulite, oltre che nei precedenti anni di lotta al sistema partitocratico (non senza equivoci e accordi sottobanco) le radici legalitarie con slittamenti giustizialisti della destra italiana. In un pronunciato senso dello Stato e in una visione del mondo lontana dal modello edonista veicolato dal berlusconismo. Gianfranco Fini riesce nell'impresa di tenere insieme realpolitik e richiamo all'identità, malgrado i continui strappi e strattoni a cui sottopone il suo mondo fino addirittura alla fusione con il Pdl. Passaggio in cui Fini si gioca la scommessa di costruire la grande destra italiana dentro cui costruire un'egemonia.
Ma viene così persa la giusta distanza che rendeva possibile questa alleanza, le frizioni tra i due cofondatori provocano scintille e le scintille l'incendio. Con la scissione di Fli infine quel sentimento carsico che ora diventa visibile si fa eruzione vulcanica. L'espressione più politica di questa corrente è Fabio Granata, interlocutore di Micromega e del Fatto quotidiano, coerente nella sua funzione di rottura di ogni ponte sospeso rimasto in piedi tra Fli e Pdl.
È l'unico a non votare la fiducia sui cinque punti programmatici al governo, a esprimersi in dissenso con il Lodo Alfano, ma non è isolato in questo percorso. Tanto che non è facilissimo per Fini argomentare di fronte alle contestazioni (ora anche interne) al suo equilibrismo una condotta che tenga assieme realpolitik e narrazione legalitaria. Lo stesso Secolo d'Italia offre una sponda di riconoscimento, un canale d'espressione a questo dissenso nel tentativo di governarlo. «C'è un fenomeno relativamente nuovo - scrive Flavia Penna - che è l'emergere e il consolidarsi di un antiberlusconismo da destra che vive come un trauma qualsiasi tipo di compromesso politico sui temi del rispetto delle regole. Si potrebbe rispondere che si tratta di un atteggiamento antipolitico perché è ovvio che l'orizzonte del gruppo finiano va molto oltre le esigenze di un voto in commissione. Ma non basta perché come ci spiega Massimo Fini - uno che nei circoli di base ci va a parlare e ne conosce meglio di altri gli umori - l'antiberlusconismo di destra è anche e soprattutto un dato istintivo di pelle».
Massimo Fini - scrittore di genio, campione d'una destra ideologica antiliberale e comunitaria, antiberlusconiano tra i più feroci in circolazione - spiega ancora al Secolo che cosa è l'antiberlusconismo di destra: «Il dato di fondo della destra è la difesa di legge e ordine: la difesa dell'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge è un principio sul quale ogni compromesso è percepito come un tradimento». Dunque pagato il dazio del Lodo - conclude Perina - «forse sarà il caso che Fli approfondisca il tema e dissi ogni equivoco su un'impossibile normalizzazione della contesa sulla giustizia». E del resto come poter proseguire un percorso con un berlusconismo, che, scriveva questa estate un altro ultrà finiano, Filippo Rossi, «coincide con il dossieraggio e con i ricatti», con gli «editti bulgari», con «la propaganda stupida e intontita? Per sedici anni ci siamo sbagliati - è l'autocritica di Rossi - che ora dà ragione agli antiberlusconiani di professione, confessando i propri «sensi di colpa», ammette anche «un pizzico di vergogna», «per non aver capito prima, per non aver saputo e voluto alzare la testa».
Eppure Piero Ignazi, politologo dell'università di Bologna, studioso della destra italiana dai tempi del Msi, invita i neoantiberlusconiani di Fli a guardarsi dalle scorciatoie polemiche, dalla tentazione a cui potrebbe indurre un rancore trattenuto da anni e la voglia di regolare dei conti sospesi. In una recente riflessione Piero Ignazi ammonisce che «L'importante non è (solo) provocare e dichiarare la fine del berlusconismo, quanto "ri-educare" un popolo che per troppo tempo ha preferito il canto delle sirene dell'ottimismo senza senso e senza fondamento. Rieducare questo sarà un processo molto molto più lungo che far cadere un governo e una maggioranza. Richiede molto tempo, molta pazienza, idee chiare, soggetti politici e attori sociali coscienti di quello che bisogna fare, con una narrazione convincente di un'Italia diversa, un progetto avvincente e convincente una strategia adeguata e coerente».
Quella della legalità a destra è però un'arma spuntata secondo Ignazi «Fini fa un uso strumentale del tema della legalità, per una contrapposizione polemica dentro il Pdl. Non mi pare che la legalità sia un tema identificativo della destra italiana, e neppure della nascita di An». Anche perché «Il tema della legalità non è mai stato un tema delle formazioni moderate, semmai di alcune formazioni di sinistra liberal radicali: è un tema minoritario in sé, e che non ha mai caratterizzato la destra italiana: difficile che sulla legalità si possa costruire un'identità forte di una nuova destra». E sono d'accordo con Ignazi anche molti finiani moderati, contrari all'idea di rievocare e cavalcare le erinni giustizialiste degli anni Novanta. il rischio evidente infatti è quello di finire nell'area d'ombra del qualunquismo dipietrista, di passare dalla padella del populismo berlusconiano alla brace di quello dell'ex magistrato molisano. D'altra parte sono molte le anime che s'agitano nel petto del nuovo corpo politico finiano. «Ci sono molti elementi dentro Fli - dice Roberto Chiarini, storico e osservatore attento della destra italiana - quello che li tiene assieme è l'identità organizzativa. Come si fa a tenere insieme del resto un radicale come Benedetto della Vedova con un vecchio missino come Tremaglia se non con un unica organizzazione che si definisce in termini polemici di fronte al vecchio alleato percepito come minaccia della propria identità. Ma appunto le identità in Fli sono molto diverse e Fini le tiene unite non avendone nessuna in particolare. Ciò che lo muove, soprattutto, è la sua ambizione di leader mentre ciò che muove uomini come Granata è questa idea forte di Stato di derivazione gentiliana. Che era lo stesso sentimento di Fisichella che con Fini ruppe quando An appoggiò il federalismo».
È vero quello che dice Chiarini. La definitiva uscita dal ghetto ha come spinto la destra finiana a recuperare il tempo perduto, a rivendicare, dopo averlo rinnegato, il suo passato missino e primo repubblicano, a trattare Berlusconi come appunto un parvenu della politica. «L'antiberlusconismo di destra - scrive Enzo Palmesano nel suo libro Gianfranco Fini - Sfida a Berlusconi (Aliberti editore)commette lo stesso errore dell'antiberlusconismo di sinistra. È l'errore di considerare il berlusconismo come una sorta di invasione barbarica nel mondo perfetto della politica e non per quello che effettivamente è: l'espressione di un blocco sociale». La trentina di intellettuali finiani adunatisi recentemente a Milano per lanciare il cosiddetto manifesto d'ottobre pronunciano messaggi alati: parlano di «metamorfosi come patire attivo», di «investimento sulla paideia», di «formazione irreversibile di un soggetto politico pericoloso». Denunciano «l'arteriosclerosi ideologica della ripetizione infeconda». Il filosofo Giacomo Marramao - che s'è affacciato al convegno dei pensatori finiani, e che negli anni Ottanta aveva partecipato con Cacciari agli incontri con la Nuova Destra di Marco Tarchi - precisa a liberal di non aver firmato il loro manifesto, «però ho detto loro che mi sembra un testo per molti versi efficace. Questo gruppo intellettuale - tra gli altri Peppe Nanni, Monica Centanni - ha da sempre una vena antiberlusconiana. È nel loro dna l'antiberlsuconismo. Pensi che loro ritengono che se c'è un tratto in cui l'esperienza tragica del fascismo vada in qualche modo recuperata o comunque faccia parte della storia italia a pieno titolo è stato proprio il fatto di conferire all'idea della nazione, dello Stato e della comunità nazionale un senso e dei valori definiti. Il modo in cui il fascismo era stato vissuto da un grande intellettuale come Giovanni Gentile. Ora, non si può negare che la destra populista e berlusconiana metta in crisi il tessuto connettivo della comunità nazionale non avendo il senso della sfera pubblica, il rispetto delle regole. Ma la vera novità di questo documento è il riconoscersi di questi intellettuali finiani nei principi e nei valori della costituzione repubblicana nata dalla resistenza».
Ernesto Galli della Loggia ha scritto recentemente che Gianfranco Fini ha impiegato cinquant'anni per capire cosa è stato il fascismo e quindici per capire chi è stato Berlusconi: un po' troppi. «Non nascondiamoci il fatto - risponde Marramao - che questi anni sono serviti a Fini come definitivo sdoganamento e per accreditarsi come uomo delle istituzioni. La torsione ulteriore del berlusconismo ha accelerato la sua rottura. Per quanto riguarda gli intellettuali a lui vicini sono stati sempre molto critici nei confronti di Berlusconi». Chissà se si riferiva a questo lungo viaggio verso il dissenso finalmente esplicito quel passaggio del documento sulla «metamorfosi come patire attivo».
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