
Le dimissioni di Malinconico erano un atto dovuto, e urgevano per preservare il buon nome di un governo che vanta discontinuità e dunque deve dimostrarla ogni giorno. Ma non basteranno a spegnere l'incendio anti-casta, che divampa senza più distinguere gli alberi tarlati da bruciare, e quelli sani da rispettare. Non solo le vacanze pagate dalle varie cricche, anche quelle pagate di tasca propria ormai valgono come capo d'imputazione per chi fa politica. L'altra sera alla radio una signora invelenita rinfacciava a Rutelli il Natale alle Maldive (frequentate da centinaia di migliaia di italiani) accusandolo "di non avere mai lavorato". Non sono un fan di Rutelli, ma in quell'accusa stridula e assurda risuonavano i peggiori umori (da forca) di una fetta ahimè larga di opinione pubblica, che ha il sangue agli occhi e ha stabilito che è "la politica", in sé, il capro espiatorio di tutte le nostre tare. E il clima è tale che il conduttore, di solito perspicace, non ha avuto l'ovvia accortezza di replicare alla signora che la politica, quando è fatta con coscienza, è un lavoro eccome. E non dei più facili. Latrare contro "i politici", presi in un solo mazzo come lestofanti e scrocconi, è un'idiozia come tutte le fole che fanno le veci della realtà. E, quel che è peggio, prepara il campo al primo dittatore o demagogo in grado di fare propri quegli umori da servi maldicenti.
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