
Cambiare nome al partito, rifondarlo, fondarne uno nuovo, assemblarne un paio di vecchi... tra i cocci della sedicente seconda Repubblica si sente dire di tutto, ma è specialmente nel pittoresco mondo dei "moderati" che la confusione appare suprema. Tra l'avvento di Montezemolo (del quale si mormora dai tempi di Nuvolari), gli appelli di Casini, le manovre di Scajola (a sua insaputa?), la scomparsa di Fini, la sola scintillante certezza, per la quale facciamo un tifo indiavolato, è la minaccia di Berlusconi di ritornare alla guida del partito. Ammesso che, in quel rottame, riesca a trovare il volante ancora avvitato, lo spettacolo sarebbe imperdibile. Invidiando a Grillo, da uomo di spettacolo, la trionfale platea, il Berlu resuscitato farebbe qualunque cosa pur di recuperare il suo pubblico: assaltare di persona Equitalia, fare della castità il punto di forza della sua leadership, perfino mostrarsi calvo e senza cerone per commuovere le madri. Mai avremmo pensato, pochi mesi dopo la fuoruscita dall'orrendo regimetto del Silvio, di desiderare la sua rentrée, per giunta per futili motivi. Eppure accade: segno che la storia ha ripreso a correre veloce perfino nella vecchia Italia.
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