
Il leghista Rovato - ma prima e dopo di lui tanti altri - fa lo spiritoso su Facebook a proposito del terremoto ("la Padania si sta staccando") perché non si rende conto che le stesse cazzate che si dicono in privato, se scritte e pubblicate, hanno diverso peso e significato. La pubblicazione del privato - letteralmente, la messa in pubblico del sé - è del resto la grande novità e il grande problema dell'epoca, ed è comprensibile che gli incauti, come il Rovato, ci inciampino. Nell'attesa che (in un paio di secoli?) si trovi una misura di massa, un'etica di massa per affrontare una questione fin qui limitata a giornalisti, scrittori, politici, credo sia importante che l'uso rozzo o violento o 'gnorante della parola pubblica non venga considerato alla stregua del famoso "prezzo inevitabile da pagare al progresso". Cioè: se uno dice una scemenza o una odiosità, bisogna rinfacciargliela, bisogna imputargliela. Non deve passarla liscia, è diseducativo. Il pregiudizio classista che ha retto per anni le televisioni ("al popolo basta la bassa qualità") ha già fatto abbastanza danni per traslocarlo pari pari al web, rassegnandosi al fatto che dare la parola a tutti equivalga a renderla vuota e volgare. Twitti? Sei su Facebook? Il tuo modello non dev'essere Rovato, dev'essere Dickens. Meglio: anche Rovato deve puntare a Dickens.
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