
La Germania è il paese europeo più sotto osservazione: le iniziative dei suoi governi - ma è sempre stato così, da Adenauer a Erhard, da Brandt a Schmidt, da Kohl a Schròder fino all'attuale Angela Merkel - hanno un impatto che si protende ben al di là dei confini, e oggi la "locomotiva" dell'Eurozona traina le scelte di fondo dell'economia continentale. Dovremmo dunque conoscerla bene, dovremmo avere i riflettori puntati su tutti gli aspetti della sua vita, non solo politica ma anche civile e sociale. Non è così. Possiamo dire che la Germania è, almeno in Italia, uno dei paesi meno conosciuti? Nel 1996, all'epoca della riunificazione, Berlino venne salutata come una "candidata a capitale dell'Europa futura" e sembra che la sua vita culturale sia vivace e moderna, ma tra di noi la città è nota per la Porta di Brandeburgo, o poco più. L'italiano - non solo l'italiano medio - sa che a Monaco si svolge l'Oktoberfest con i suoi fiumi di birra o che la sua squadra di calcio è tra le migliori d'Europa, ma ignora il profumo thomasmanniano di Lubecca o l'incanto della Weimar goethiana. L'antropologia dell'uomo, o della donna, francese, inglese o spagnola ci è nota come quella di un abitante di Milano o di Roma, vizi e virtù dei loro corrispondenti tedeschi ci sono per lo più estranei. Li ammiriamo, li temiamo, forse sorda- mente li invidiamo.
Ci ha stupito dunque, e parecchio, il reportage, fresco di stampa per le cure di una neonata ma ambiziosa casa editrice, del giornalista Gtinter Wallraff ("Notizie dal migliore dei mondi", L'Orma, 2012), che ci porta nel cuore di una Germania per noi inedita rivelandoci un paese infetto dalla tabe del razzismo e crudele per quanti siano fuori norma o vivano costretti ai bordi della società. In questo "migliore dei mondi" si può incontrare un bel po' di soggetti a rischio, veri reietti sociali. Wallraff li avvicina e li fa parlare: ci sono i "neri" evitati e rifiutati da campeggi e birrerie, gli extracomunitari sfruttati, gli ospiti di un dormitorio per senza tetto, gli assistiti di un servizio sociale (cattolico), i barboni che dormono nei sacchi a pelo su una grande strada centrale di Colonia, nei container abbandonati a Francoforte o, a Hannover, nei bunker dell'ultima guerra, ma anche funzionari e dirigenti di azienda ricoverati in cliniche psichiatriche perché travolti da un lavoro frustrante e fonte di corruzione. Sono figure borderline e luoghi estremi che conosciamo anche in Italia, ma sorprende l'imponenza del fenomeno in un paese orgoglioso per la sua capacità di esprimere una società disciplinata, seria, efficiente, che tiene moltissimo a celebrare solennemente la sua definitiva condanna dell'Olocausto.
I call center à la tedesca Wallraff ci fa entrare nei santuari della new economy. Il Kòln Turm, uno dei seimila call center della Germania, "con una certa immodestia vorrebbe presentarsi al pari del Rockefeller Center, dell'Empire State Building di New York o del Philipp Street Commercial Office di Sydney". Tra le società "leader nel loro settore" ospita- te nel grattacielo c'è "il secondo operatore più importante in Germania nel mercato della vendita dei biglietti della lotteria". Dovrebbe essere un business di qualità, ma "tutti sanno" che "nella maggior parte dei casi la truffa è ai danni dell'acquirente". Wallraff fa domanda di assunzione, viene convocato e segue la trafila della selezione; una sequenza narrativa allucinante, così come la descrizione delle tecniche con cui il call center gabba quelli ai quali per telefono vengono fatte offerte mirabolanti che si riveleranno del tutto fasulle. A Milano, i call center sono insidiati dalla 'ndrangheta, questi tedeschi le malefatte le compiono in proprio. In un altro famoso call center uno degli impiegati a un certo punto sbotta, vuole lasciare il posto perché "inconciliabile con i propri principi morali". Ambienti non meno maleodoranti Wallraff li incontra nei retrocucina di ristoranti alla moda o anche in cliniche per malattie mentali dove sono in cura anche funzionari di grandi enti, in crisi psicologica perché sfruttati e depressi o semplicemente perché affetti da "pauperofobia", la paura di perdere il lavoro e quindi di diventare poveri.
È un incredibile panorama di perdenti, insospettati in quello che si ritiene "il migliore dei mondi". Per infiltrarsi in questi ambienti il giornalista si traveste, truccandosi da nero, spacciandosi per extracomunitario o assumendo i tratti del barbone. Le sue avventurose investigazioni corrono forse il rischio di assolutizzare la loro visione, di innamorarsi di se stesse, di ridurre tutto il contesto negli schemi del testo. Ma ci sono momenti in cui la prosa tagliente di Wallraff ci conquista e ci convince. Ci regala, comunque, un tassello indispensabile per capire la Germania di oggi. E' la dote del grande giornalista.
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