
14/10/10
Liberal
Ci mancava solo la formula del patto di consultazione, che riporta indietro l'orologio fino agli anni '50, dopo i mandati esplorativi delle elezioni regionali e quell'alternativa che Bersani ha eletto parola chiave e fatto scrivere sulle tessere del Pd, dopo essere stato lo slogan degli ultimi tre congressi del Partito comunista italiano. Ma al di là del linguaggio, che pure resta un segnale chiaro di stanchezza, è la strategia complessiva del Pd a rimanere un'incognita tutta da decifrare. Bersani insiste col sostenere che è lo stato emergenziale (altra formula antica) in cui versa la democrazia italiana a motivare l'intesa di un arco di forze politiche che vanno dall'Udc di Casini alla Federazione dei Comunisti di Ferrero, Diliberto e Salvi.
E il leit motive non si placa nonostante più di un dirigente dell'Udc abbia chiarito in varie circostanze che, anche ammettendo l'urgenza democratica, non si dà alcuna possibilità che alle prossime elezioni Casini possa andare a braccetto con Di Pietro, Pannella,Vendola, Diliberto e magari pure i grilli;. Ma andiamo con ordine. Il patto di consultazione siglato da Bersani con Vendola, non ha solo l'obiettivo di mostrare al partito che il segretario si muove senza il tutoraggio di D'Alema. Bersani ha chiesto a Vendola, in cambio dell'assicurazione sulla tenuta delle primarie per il leader del centrosinistra e dell'assenso su un possibile governo a scopo che cambi la legge elettorale, di lavorare alla sinistra del Pd. Entrambi hanno convenuto che ricreare sulla scheda elettorale l'effetto Unione, con una pletora indistinta di simboli di partito, è controproducente.
La soluzione consisterebbe in una operazione di maquillage, per cui Vendola finirebbe per capeggiare un listone di sinistra radicale che inglobi Sinistra e libertà, Verdi di Bonelli, Socialisti di Nencini e Radicali di Pannella. Un'opaca riedizione di quella lista Arcobaleno che nel 2008 ha mandato in pensione Bertinotti e compagni. Bersani vorrebbe che nel listone ci fossero pure i comunisti di Ferrero e Diliberto, ma su questo Vendola non concorda. L'ipotesi di listone a sinistra del Pd, a cui Bersani pensa per risolvere la partita delle alleanze, riconoscendo a Vendola il ruolo di leader unificatore, servirebbe al Pd anche per premere su Di Pietro e disporlo a più miti consigli. Lo schema insiste sui rapporti di forza tra Pd e Idv, che verrebbero ridefiniti in virtù della ghiotta dote recata da un Bersani garante dell'accordo con la sinistra radicale. Al Nazareno si immagina che, a quel punto, Di Pietro non potrebbe che patteggiare, provando al massimo a far pesare il suo canale aperto coi grillini.
L'ex magistrato è l'unico ad avere relazioni assidue con Grillo, che in alcune grandi aree urbane del centro-nord ha dato prova di radicamento alle ultime regionali. Bersani non ama molto il populismo di Grillo, che sparla di lui ad ogni occasione. Tuttavia non esclude che in certe regioni sia necessario includere anche il caotico movimento 5 stelle di Grillo nella grande alleanza democratica che, a marzo o quando sarà, dovrà sfidare Berlusconi. Che c'entri Casini con tutto questo non è dato sapere, ma il Pd gioca a fare l'alleato di tutti e, dunque, perché escludere proprio l'Udc? Bersani è convinto di poter cementare l'intesa coi centristi attraverso il governo tecnico che nascerà dopo il collasso della maggioranza di governo. Va molto fiero di aver strappato a Vendola l'appoggio a un eventuale governo tecnico per cambiare la legge elettorale da costruire con Casini e i finiani, a patto però di chiamarlo governo di scopo. Bersani dà per ovvio che, dopo l'esperienza comune del governo di scopo che modificherebbe il Porcellum per andare incontro alle esigenze di Pd e Udc, non ci sarebbe alcun motivo per i due partiti di presentarsi divisi alle elezioni. Tenendo a nell'accordo tra i due partiti anche tutto quanto oggi è a sinistra dei democratici che, nel frattempo, si sarà organizzato in un cartello elettorale unitario sotto la leadership di Vendola, con l'eccezione di un Di Pietro indebolito dal suo autonomismo e, così, più facile da inglobare.
Questa la tattica dei tre forni (Casini, Vendola, Di Pietro) del Pd. Bersani la predilige alle scelte di campo che, invece, più sensatamente molti lo invitano a fare. L'idea che sia sufficiente mettere insieme tutto quello che non sta con Berlusconi per battere Berlusconi, per quanto appaia più un modello aritmetico che politico, piace anche ad altri dirigenti democratici. Franceschini, Fassino e Rosy Bindi sono oggi i più convinti sostenitori di questa opzione. Diversamente, D'Alema e Letta vedrebbero meglio un'alleanza con Futuro e libertà e Udc, facendo diga a sinistra. Il dibattito di ieri al Senato sull'Afghanistan, che ha visto un'Idv scatenata contro Governo e Pd alla ricerca di un ritiro immediato dei nostri 4mila militari, conferma le preoccupazioni di D'Alema e Letta. Di Pietro ha deciso di non lasciarsi sfuggire la possibilità di marcare l'opzione pacifista, che in Parlamento non è oggi rappresentata da alcuno.
Proprio per rompere i piani del patto di consultazione tra Bersani e Vendola, Di Pietro toccherà la corda viva di quella ideologia pacifista tanto cara alla sinistra italiana. Allo scopo di scrivere una commedia in cui il servo truffaldino riusciva a servire simultaneamente due padroni diversi senza farsi scoprire, ci volle nel '700 tutto il genio di Goldoni. Bersani dovrà fare di meglio per condurre fino alla fine al sua politica dei tre forni, sperando davvero che la maggioranza di governo imploda e si vada alle elezioni politiche entro la prossima primavera. Tocca tenere alta la tensione, per fare in modo che i democratici siano pronti, quando il governo imploderà su se stesso, a scattare verso la vittoria con la loro grande alleanza costituzionale.
Il Pd sembra oggi come uno di quegli atleti che vengono riempiti di anabolizzanti per far crescere i muscoli a dismisura, in previsione del voto anticipato. È chiaro, però, che se le elezioni non dovessero venire, l'atleta Pd potrebbe rischiare il collasso, non avendo l'occasione di sfogare le energie accumulate nella gara elettorale. Un pericolo non da poco, che tuttavia al Nazareno pare essere parecchio sottovalutato.
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