
La scrivania di Giorgio Napolitano sul Quirinale, stavolta, resta insolitamente spoglia. Via carte, libri e documenti. Sul tavolo solo il testo del messaggio di fine anno, le 14 cartelle più sofferte del settennato che ieri sera ha letto al paese, e null'altro a distrarre l'attenzione delle telecamere e degli italiani dalla difficoltà del momento. Perché, ha premesso il capo dello Stato, la crisi «resta grave». Ma l'Italia «può e deve farcela». I sacrifici, pesanti, ai quali nessun gruppo sociale può sottrarsi, «non risulteranno inutili». Daranno dei frutti. Soprattutto per assicurare «un futuro ai nostri figli». Venti minuti di ombre e di luci sul nostro paese, con il presidente della Repubblica che ha indicato anche la strada, l'agenda per uscire dal tunnel. A cominciare dalla centralità del lavoro ma con l'apertura anche ad un nuovo welfare, e con l'appello a lavoratori e sindacati ad uno «slancio costruttivo» come ai tempi della ricostruzione e della lotta al terrorismo. Serve un'ulteriore riduzione della spesa pubblica senza incidere «su già preoccupanti situazioni di povertà». La «serenità» politica attorno al governo Monti è un bene da salvaguardare ma chiede un surplus di «rinnovamento» ai partiti e una nuova legge elettorale. Da colpire «senza esitazione» corruzione ed evasione fiscale. E con rapidità bisogna intervenire su tre capitoli dolorosi: il sovraffollamento nelle carceri, le alluvioni e la cittadinanza ai figli degli immigrati nati in Italia. Infine, l'Europa: così «non ci siamo», manca un fronte comune contro la speculazione che aggredisce l'Italia.
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