
27/08/10
Gli Altri
L'ultimo capitolo della demagogia e del conformismo nazionali a favore del "carcere duro" riguarda i "messaggini", versione contemporanea dei "pizzini", coi quali i boss mafiosi in libertà comunicherebbero a quelli in carcere lo stato dell'arte dei loro ordini e commerci criminali. Nella teoria infinita di "ragioni" che giustificherebbero il regime carcerario del 41 bis, la più recente trae origine da un "fatto" di un anno e mezzo fa venuto alla ribalta nel mezzo di questa estate evidentemente avara di notizie.
Siamo informati oggi che nel gennaio 2009 sul "serpentone" della trasmissione Rai Quelli del calcio, tra le migliaia di messaggi arrivati via Sms ne è passato uno di poche parole: «Tutto a posto, Paolo». Pare non vi sia traccia di episodi analoghi nella lunghissima serie della popolarissima trasmissione televisiva, ma quel "terribile'' e unico annuncio è stato sufficiente a mobilitare i professionisti dell'antimafia in servizio permanente effettivo. La Rai ha deciso subito di bloccare gli Sms e, ne siamo certi, non mancheranno all'apertura dei lavori parlamentari proposte restrittive per blindare ancora di più il già blindatissimo regime che noi chiamiamo "carcere duro" e che secondo il diritto internazionale non si può definire altro che tortura. Perché sono tortura non solo il "dolore e sofferenze forti" quali pure sono stati inflitti nei primi anni 90, quando il 41 bis è stato inaugurato nelle isole di Pianosa e dell'Asinara, ma anche le "pressioni" a parlare e fornire informazioni che nelle particolari condizioni di detenzione vengono esercitate su detenuti fatti oggetto di visite in cella eufemisticamente chiamate "colloqui investigativi".
Il momento carcerario non può essere considerato una dimensione seria, neppure secondaria, di lotta alla mafia. Cosa c'entra con la lotta alla mafia, ad esempio, il fatto che i detenuti in 41 bis non possano lavorare o frequentare corsi scolastici, che possano fare un solo colloquio al mese e due ore d'aria al giorno, che gli siano consentiti al massimo due pacchi viveri al mese o il fornellino per farsi il caffè ma non per cucinare?
All'argomentazione apparentemente vera che con il 41 bis si determinerebbe la rottura dei collegamenti tra i mafiosi detenuti e quelli in libertà, il blocco dei loro traffici Criminali, sarebbe facile obiettare che, se l'obiettivo fosse davvero questo, il modo migliore per raggiungerlo potrebbe semmai essere proprio quello di tenere i mafiosi in condizioni tali da usare, "facilitandoli", i loro collegamenti, per su questi investigare, ricostruire e smantellare reti e operazioni criminali. Il vetro blindato attraverso il quale si fanno i colloqui è la parte per il tutto del "carcere duro". È la metafora perfetta e crudele di un sistema blindato. Dietro quel vetro c'è tutta la contraddizione, la propaganda, la crudeltà di un regime speciale. È una contraddizione in termini che un sistema fatto apposta per interrompere i collegamenti dei mafiosi con l'esterno, viene prorogato ai singoli detenuti per due, tre, cinque, dieci, diciotto anni... perché permangono ancora i collegamenti con l'esterno. A ben vedere, il vetro blindato è lo strumento della propaganda dei professionisti dell'antimafia che vuole dare a intendere che così "è stata calata una saracinesca" come ha detto un Ministro dell'Interno dell'epoca tra la mafia dentro e quella fuori. Se così fosse, se attraverso i colloqui coi familiari (come scrivono nei decreti applicativi) e con gli avvocati (questo non lo scrivono nei decreti ma lo pensano!) si continuano a mantenere rapporti con l'esterno, mandare messaggi e organizzare traffici illeciti, se così fosse, allora perché non farli fare quei colloqui, farli parlare i mafiosi, comunicare con l'esterno, e usare quei colloqui per prevenire e reprimere atti criminali? Si tratterebbe non solo di rispettare i diritti umani, ma di legalizzare quello che già esiste: microspie, intercettazioni ambientali e quant'altro viene usato.
In realtà, le dure condizioni di detenzione rispondono solo a una logica di rivalsa e a una primordiale istanza di giustizia. Si è risposto con il "carcere duro" alle stragi di Capaci e via D'Amelio e, dopo quasi vent'anni dalle stragi, le sezioni del 41 bis hanno ormai solo un valore simbolico e monumentale: quei fatti orribili devono rimanere nella memoria collettiva e le sezioni del 41 bis devono restare in piedi come monumenti alla memoria delle vittime della Mafia. Ma dopo diciotto anni di questo regime è giunto il momento di chiedersi che senso ha.
Al di là della costituzionalità o meno e della necessità o meno di prevedere nel nostro ordinamento un regime carcerario differenziato, la sua applicazione in concreto è comunque inaccettabile. Costringere una persona per diciotto anni di fila in una gabbia di vetro e cemento, con poca luce e poca aria, senza cure e senza affitti, senza diritti e senza speranza, e prevedere che da questo regime si possa uscire solo tramite il pentimento o la morte, è indegno di un Paese civile. È incredibile che nessuno si preoccupi che nei confronti di, ormai quasi tutti vecchi, "mafiosi", i magistrati continuino a usare l'arma della tortura, dell'infamia che colpisce non solo i "mafiosi" ma sta schiacciando tutto e tutti verso la demagogia e il conformismo politico e sociale. Ed è incredibile che eccetto i radicali tutti, a destra e a sinistra, siano allineati e coperti con questo regime di 41 bis, e che nessuno veda nell'applicazione di condizioni così inumane e degradanti di detenzione, innanzitutto, il degrado del nostro senso di umanità e la fine del nostro stato di diritto.
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