
17/11/10
Secolo d'Italia
Così tanti spettatori, da quando c’è l’Auditel, RaiTre non li aveva mai avuti. Nove milioni di italiani (30 per cento di share, programma più visto della prima serata) sono venuti via con loro. Con Fabio Fazio e Roberto Saviano, con Pierluigi Bersani e Gianfranco Fini, con Mina Welby e Peppino Englaro. Meglio persino di una settimana fa, quando la presenza di Roberto Benigni era stata considerata determinante nel boom di ascolti. La storia di Vieni via con me è la storia di un programma che e una cartina di tornasole di un’altra Italia. Collocato in palinsesto di lunedì contro la fiction di Raiuno e il Grande fratello, pareva destinato a rimanere un programma di nicchia. Parlare di politica, mafia, diritti civili e cittadinanza, lasciando pochissimo spazio all’intrattenimento puro (ieri c’erano Ligabue, Paolo Rossi e Antonio Albanese) era sembrato velleitario. Roba da salotto radical chic. Invece i telespettatori hanno scelto: e hanno preferito al confessionale della Marcuzzi e alle inchieste di Montalbano, le inchieste vere di Roberto Saviano sull’infiltrazione delle mafie al Nord, le testimonianze sul caso di Piergiorgio Welby ed Eluana Englaro, cosa vuol dire essere di sinistra o di destra, spiegato in poco meno di quattro minuti a testa da Bersani e da Fini. Ovvio che al pieno di ascolti siano seguite il giorno dopo le polemiche. In particolare non è stata gradita la parte dell’intervento di Saviano sulla mafia al Nord. L’autore di Gomorra ha citato una vecchia intervista al Giornale dell’ideologo del Carroccio, Gianfranco Miglio: «Io sono per il mantenimento anche della mafia e della ‘ndrangheta. Il Sud deve darsi uno statuto poggiante sulla personalità del comando... Insomma, bisogna capire che alcune manifestazioni tipiche del Sud hanno bisogno di essere costituzionalizzate». Una provocazione intellettuale che il giornalista campano ha ripescato citando a supporto un’operazione dei carabinieri contro la ‘ndrangheta e che ha coinvolto anche un esponente del Carroccio. Un fatto riportato dalle agenzie di stampa e pubblicato da diversi quotidiani. Ma ripetere la notizia a dieci milioni di italiani ha un’altra eco. Non a caso Roberto Maroni ha scritto una lettera ai presidenti di Camera e Senato e al presidente della Commissione di Vigilanza: «Come ministro dell’Interno, che combatte quotidianamente ogni forma di criminalità organizzata con assoluta determinazione mi sento profondamente offeso da queste parole e chiedo, pertanto, di poter esercitare il diritto di replica per contestare tali falsità nel corso della prossima puntata del programma». Maroni ha chiesto risposta «anche a nome dei milioni di leghisti che si sono sentiti indignati dalle insinuazioni gravissime di Saviano». Una minaccia che non ha impressionato il capostruttura di Raitre e responsabile della trasmissione, Loris Mazzetti: «Maroni è un ministro della Repubblica e ha disposizione telegiornali e altri programmi di approfondimento politico per replicare. Il nostro è una programma culturale, dove i politici vengono solo se sono funzionali al racconto delle puntate». Ci sono insinuazioni gravissime e diffamatorie? «C’è sempre la magistratura a cui rivolgersi - replica Mazzetti - Io penso che l’onestà intellettuale di Saviano non possa vivere di condizionamenti. La cronaca ci racconta di episodi di criminalità in cui sono coinvolti esponenti leghisti e se Saviano non ne avesse parlato, si sarebbe autocensurato». Tra il giornalista e la Lega non è la prima volta che sono scintille quando si parla di infiltrazioni della ‘ndrangheta al Nord. Lo scrittore lo scorso 28 luglio in una intervista a Vanity Fair aveva detto: «La Lega ci ha sempre detto che certe cose al Nord non esistono, ma l’inchiesta sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta in Lombardia (una operazione che l’estate scorsa ha portato a trecento arresti) racconta una realtà diversa. Dov’era la Lega quando questo succedeva negli ultimi dieci anni laddove ha governato?». Sulla polemica Maroni-Saviano oggi alle 14 sarà ascoltato in Commissione di Vigilanza tutto il consiglio di amministrazione della Rai, compreso il presidente Paolo Garimberti. Il vicepresidente Giorgio Lainati (Pdl) ha sollevato il tema nel corso della riunione odierna allargata ai capigruppo, sottolineando la necessità di invitare al programma, «per rispetto del pluralismo, dopo tre esponenti dell’opposizione, almeno qualche esponente della maggioranza». Il capogruppo del Pd, Fabrizio Morri, ha replicato che «si tratta di un programma culturale» e chiesto «alla presidenza di complimentarsi per l’ottimo risultato di ascolti».
La vetrina di Vieni via con me fa sempre più gola alla maggioranza, come ha candidamente spiegato Daniele Capezzone riferendosi agli interventi di Fini e Bersani. Il leader di Futuro e libertà e quello del Pd «hanno avuto una grande opportunità: quella di parlare al Paese, a molti milioni di italiani, in un’atmosfera per loro favorevole, calda, irripetibile. E invece? E invece - ha attaccato il portavoce del Pdl - da loro è venuto un compitino banale e deludente, senza emozione, senza calore, senza visione» che con metafora calcistica parla di «calcio di rigore malamente sprecato». Capezzone ha debitamente evitato di citare il "rigore" che tirerà stasera Silvio Berlusconi su Canale 5: a Matrix, in un’atmosfera ancora più «calda e favorevole», avrà a disposizione un po’ più dei quattro minuti concessi a Fini e Bersani.
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