
27/10/10
Terra
Condannato a morte per omicidio intenzionale, tortura e sparizione forzata di cittadini. A meno che un miracolo non lo salvi entro 30 giorni, Tareq Aziz, ex-braccio destro di Saddam Hussein, è da ieri l'ultimo esponente del regime a essere stato spedito nel braccio della morte dall'alto tribunale iracheno. Anomala creazione giuridica messa a punto durante l'amministrazione americana in Iraq, la corte è formata infatti da giudici statunitense in base a norme scritte nel 2004, che hanno fatto sostanzialmente carta straccia del Codice penale iracheno. La sentenza è l'atto finale di mi calvario di sette anni, fatto di detenzione senza accusa (le imputazioni sono state comunicate a Aziz nel 2005) e isolamento quasi assoluto, mentre anno dopo anno il cappio di Camp Cropper ha, eliminato prima Saddam, poi suo cugino Ali il Chimico.
In Europa le reazioni sono state di sgomento: il capo della diplomazia europea Ashton ha chiesto la commutazione della pena, mentre in Italia il radicale Marco Pannella, già al 24esimo giorno di sciopero della fame, ha deciso di passare allo sciopero della sete perché, ha dichiarato, «non si strozzi anche Tareq Aziz per impedirgli di parlare».
Ma che lui sia un uomo che sa troppo, e che per questo va fatto tacere, sembra essere anche l'unanime opinione del mondo arabo. In effetti Tareq Aziz , era il volto patinato dell'imbarazzante regime di Saddam, che entrava e usciva da sedi diplomatiche mondiali anche nei momenti di maggior rottura con l'Iraq. Ma aveva anche pochi problemi a dire come la pensava e, se da una parte all'indomani dell'invasione americana si rivolse al Papa per fermare quello che si è poi rivelato ori massacro di più di un milione di iracheni, dall'altro non mancò di indispettire la Casa Bianca dichiarando che la guerra si faceva «per il petrolio e per Israele», e commentando sarcastico: «non volevano un cambio nel regime, volevano un cambio nella regione».
Tutto questo pur decidendo, comunque, di consegnarsi alle autorità occupanti piuttosto che tentare la fuga, e forse confidando troppo in un trattamento di favore dovuto proprio a quelle passate collaborazioni che gli Usa magari vorrebbero seppellire. L'impianto accusatorio di quest'ultimo processo a suo carico, per esempio, è evocativo in questo senso. Erano i primi anni Ottanta e gli Usa cercavano disperatamente un paese terzo disposto a muovere la guerra contro l'Iran komemista. Fra Saddam e Usa fu siglata l'intesa e il governo di Baghdad - cioè Hussein e Aziz -venne armato dal Pentagono per muovere guerra contro Teheran. Ma, quella che anmcora oggi continua in Iraq, è un'altra storia, quella della dimenticata amministrazione Bush. Improbabile dunque che qualcuno abbia voglia di ascoltare gli appelli di Aziz, in questi giorni di scandali da Wikileaks. Né in un Paese come l'Iraq, senza governo da sei mesi, né tantomeno negli Usa che, ritirate ufficialmente le truppe, hanno abbandonato la regione al suo limbo di guerra.
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