
Come un richiamo della foresta, l’aria del Colle risveglia vecchie appartenenze e riunisce branchi da tempo sciolti: gli ex democristiani della diaspora si mobilitano per far eleggere presidente della repubblica Franco Marini; gli ex socialisti craxiani tirano la volata a Giuliano Amato. Non tutti, però. O almeno, non per tutti Amato sarebbe una prima scelta.
Claudio Martelli, e lei?
Fossi in Parlamento voterei Emma Bonino.
Bel candidato e piace anche a molti, ma nessun grande partito la sosterrà mai ufficialmente.
È vero, ma potrebbe ottenere comunque molti consensi. E una donna d’esperienza sia interna sia internazionale, è competente ed è una tenace sostenitrice di un’Europa federalista più politica che economica.
E Giuliano Amato?
Sarebbe la mia seconda miglior scelta.
Messe da parte le antiche ruggini, Rino Formica idealmente lo sostiene.
E lo capisco, Giuliano è un uomo che ha dato il meglio di sé nei momenti di difficoltà: nel fuoco della crisi del ‘92 e nel 2000, dopo la caduta del governo D’Alema. Di certo ha l’aplomb istituzionale e l’autorevolezza internazionale necessarie all’Italia in questo momento.
Ma?
Ma, vede, con i partiti ridotti in questo stato, la presidenza della Repubblica è diventata il luogo dove la politica viene effettivamente svolta e pianificata.
Vero, e dunque?
Dunque, mi domando: Giuliano è senz’altro un grande professionista capace di trovare ottime soluzioni tecnico-politiche ai problemi che gli vengono indicati, ma in quel ruolo l’individuazione delle priorità e le decisioni finali spetterebbero a lui e solo a lui.
Ritiene che non avrebbe le qualità necessarie al ruolo?
Non so, di certo quello non è come un abito che si possa indossare: o hai le qualità o non le hai.
Berlusconi lo apprezza molto. Cosa sa del loro rapporto?
Non ne ho particolare conoscenza. Ricordo che Amato tenne per conto di Craxi i rapporti con Berlusconi ai tempi della legge Mammì, che ridisegnò il sistema radiotelevisivo, e nel ‘94 Berlusconi lo nominò presidente dell’Antitrust. I due hanno sempre avuto buoni rapporti, e questo è nello stile di Amato: straordinarie doti diplomatiche e la capacità di navigare tra Scilla e Cariddi.
Se Cariddi sono gli ex comunisti, Amato ha molto navigato anche da quelle parti...
Questa è la parte che meno mi piace di lui. Se ben ricordo, negli anni Novanta accettò persino di fare il presidente del Pds. È stato uomo di D’Alema, che l’ha voluto ministro delle Riforme, poi del Tesoro e infine premier. E stato candidato alla presidenza del partito socialista europeo e al tempo stesso indicato da Gianni Alemanno alla guida della commissione per Roma Capitale.
Craxi lo definì un «professionista a contratto».
Una frase malevola, io mi fermerei al professionista. E infatti tra le indiscutibili qualità di Amato non c’è quella di leadership politica: è un grande professionista delle istituzioni chiamato spesso a svolgere compiti di tecnica politica.
Non è un leader.
No, non è un leader.
Pare abbia eccellenti rapporti anche col Vaticano.
Penso sia un laico, ma di quel ‘laicismo positivo’ teorizzato da Ratzinger. In passato polemizzammo sui temi etici e in particolare sull’aborto, ma non credo sia disposto a tutto: la sua naturale tendenza al compromesso ha dei limiti e si spiega col fatto d’essere il tipico rappresentante dell’élite, dunque senza radici nella società e nella politica.
L’élite finanziaria di certo lo apprezza.
Sicuramente è molto gradito all’establishment finanziario e non è un uomo di popolo. Purtroppo, i presidenti della Repubblica non li eleggono i cittadini. Non ancora, almeno.
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