
Chiedo subito alministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri, che da poche settimane è traslocata dal Viminale in via Arenula, se quella delle carceri è la prima grana che si è trovata sulla scrivania.
E' la cosa più seria - risponde - entro il mese di maggio dell’anno prossimo dobbiamo avere risolto il problema». Maggio 2014 è la data indicata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo come termine per porre rimedio allo scandalo del sovraffollamento. «L’Europa impone che ciascun detenuto abbia a disposizione, in cella, uno spazio non inferiore ai tre metri quadrati. Sotto questa soglia, la detenzione è considerata tortura», dice Anna Maria Cancellieri. E poi è arrivata, oltre all’Europa, la reprimenda di Napolitano, che ha invitato il governo a far presto.
Ministro, quando e come pensate di intervenire?
«Venerdì, o al massimo sabato, il governo farà un decreto legge».
Che cosa prevederà?
«Misure per anticipare alcune uscite dal carcere, e altre per limitarne le entrate. Stiamo lavorando sui reati. E pensando anche all’estate, quando la situazione rischia di scoppiare per il caldo».
Quanto varrà questo decreto, in termini di numeri?
«Lo stiamo ancora definendo. Il 24 poi ripresenteremo in Parlamento, con qualche correzione, il provvedimento del ministro Severino, che va nella stessa direzione: far uscire un po’ di persone, quelle che hanno mostrato di esserselo meritato, e non far entrare altri che possono essere mandati agli arresti domiciliari o assegnati a lavori socialmente utili. È chiaro che tutto questo si potrà fare con persone non pericolose e per reati per i quali sono previste pene basse. Abbiamo calcolato che, con queste misure, la popolazione carceraria dovrebbe ridursi di 3.500-4.000 persone».
Ministro mi perdoni: ma le «unità eccedenti», chiamiamole così, sono ventimila secondo i vostri dati, trentamila secondo quelli dell’associazione Antigone.
«Sappiamo bene che ci vuole di più, e stiamo lavorando. Mediamente, nelle nostre carceri sessantamila persone ci sono sempre».
Pensate a un indulto? Nel 2006 portò la popolazione carceraria sotto i 40.000 detenuti, adesso sono 66.000.
«L’indulto svuoterebbe le carceri di 15-20.000 detenuti. Ma non è in programma come iniziativa del governo. È una questione che eventualmente riguarda il parlamento».
Nuove carceri?
«Con nuove costruzioni, o con ampliamenti delle carceri esistenti, nel 2012 sono stati ricavati duemila posti in più. Quest’anno ne otterremo altri quattromila, nel 2014 duemilacinquecento, nel 2015 e 2016 altri duemila circa. In totale, fra tre anni e mezzo avremo poco meno di undicimila nuovi posti».
Ne mancherebbero ancora diecimila.
«Nel fondo carceri, dopo il “taglio” di 228 milioni operato nella finanziaria del 2012, sono rimasti 70 milioni, più altri 60 di ribassi d’asta. Insomma abbiamo un tesoretto. Stiamo utilizzando le cellule grigie per capire come utilizzarlo...».
Idee?
«La filosofia, avendo pochi mezzi, è quella di realizzare strutture leggere, più aperte, più semplici da costruire. Poi stiamo verificando certi edifici che il Demanio militare ci può mettere a disposizione: caserme e carceri che potrebbero essere ristrutturate. E stiamo cercando anche di recuperare nuove risorse dai beni sequestrati alla mafia».
Quanto costa un carcere «leggero» di quelli che volete costruire, da 4-500 posti?
«Ne abbiamo appena appaltato uno così a Catania e costerà trenta milioni: sarà pronto alla fine del 2016. Ma abbiamo altre idee: stiamo parlando con la Regione Toscana per capire se è possibile riaprire Pianosa, e se è il caso di rendere indipendente da un punto di vista energetico il carcere della Gorgona, che passerebbe da 50 a 100 posti».
Quali sono situazioni più critiche?
«Mi segnalano Poggioreale, l’Ucciardone, Marassi...».
Ministro, l’emergenza carceri è solo un problema di sovraffollamento?
«Certo che no. Dobbiamo cambiare il modo di stare in carcere. Il detenuto non deve rimanere chiuso in cella tutto il giorno a non fare nulla. Ho visto che lei è stato a Padova, dai detenuti che lavorano con la Cooperativa Giotto: ecco, quello è un modello da seguire e da esportare. Anche a Bollate lavorano. Il detenuto deve potere uscire di cella e lavorare. Non giova solo a lui, serve anche a chi sta fuori, perché si abbassa, e di molto, la possibilità di una recidiva. Voglio dire: il detenuto che in carcere lavora - meglio ancora se lavora con aziende che devono stare sul mercato, perché così si responsabilizza maggiormente - una volta uscito spesso ha già un’occupazione, o comunque può trovarla più facilmente. E ha meno possibilità ricadere negli errori del passato».
Però le imprese che chiedono di produrre all’interno del carcere incontrano un’infinità di ostacoli burocratici.
«È vero. Dobbiamo modificare questa situazione. L’imprenditore non deve avere intralci. In ogni caso su questa strada non ci fermeremo. Ogni nuova struttura deve poter avere gli spazi per il lavoro. È un imperativo categorico».
Si interverrà anche sui detenuti in attesa di giudizio? Sono il quaranta per cento.
«A noi risultano circa il 35 per cento. Comunque troppi. Soprattutto quelli in attesa di un giudizio di primo grado, che sono il 18,60 per cento. Tra di loro c’è gente che sarà assolta».
La lentezza dei processi?
«Apriremmo un discorso infinito. Diciamo che su questo tema bisogna inventarsi qualcosa. Qualche idea ce l’ho».
Un terzo dei detenuti è costituito da stranieri. Non basterebbe espellerli per risolvere il sovraffollamento?
«Non è così facile. Di molti stranieri non sappiamo neppure il Paese di provenienza. E poi per far scontare a un detenuto la pena nel suo Paese d’origine occorre il suo consenso. E difficilmente lo concede».
A proposito di rieducazione: che cosa pensa di Graziano Mesina?
«Una grandissima delusione.Uno che fa la guida turistica e va in giro con il Porsche Cayenne... Con la gente che non sa come comprare pane e latte... Una botta che rimette in discussione tante cose, che crea difficoltà alle nostre politiche di recupero. Ma dobbiamo continuare ad avere fiducia nell’essere umano».
Il 41 bis?
«Quello non si tocca. Se da una parte siamo pronti ad aprire, non abbiamo nessuna intenzione di mollare su questo punto».
L’ergastolo? I radicali raccolgono le firme per l’abolizione.
«È un tema di cui bisognerebbe parlare in parlamento. Ma bisognerebbe sentire anche le vittime di coloro che sono state condannate all’ergastolo. Le vittime non vanno mai dimenticate». [3]
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