
Scalfaro ha accettato di essere un uomo di parte, di subire offese e incomprensioni, per difendere la Costituzione. Dando così una straordinaria testimonianza di coraggio nell'affermazione dei valori fondamentali del nostro vivere civile». Rosy Bindi, presidente del Pd, è convinta per questo che «se Napolitano ha potuto dare l'incarico a Monti, lo si deve a Scalfaro, che si oppose con grande energia ai tentativi di cambiare la nostra Carta e di stravolgere i poteri del Parlamento e del Capo dello Stato». La Bindi, pur avendo come Scalfaro, anche se in epoche diverse, mosso i suoi primi passi nell'Azione Cattolica, è arrivata solo negli ultimi anni a stringere con lui un rapporto di confidenza. Cementato da una battuta, quando lo scorso febbraio le disse «vengo a festeggiare i tuoi sessant'anni solo se mi prometti che comincerai finalmente a darmi del tu».
Entrambi cattolici democratici, accomunati da una tendenza a radicalizzare le posizioni, espressione di due diverse generazioni di ex Dc. Si è mai trovata in disaccordo con lui?
«L'ho conosciuto quando era già impegnato in politica e noi giovani guardavamo con ammirazione quest'uomo delle istituzioni che portava sul bavero il nostro distintivo dell'Azione Cattolica. Venne da noi a fare una riflessione sulla Madonna quando era ministro degli Interni. Prima di lui ricordo solo La Pira così, tutti gli altri erano meno espliciti nella manifestazione della loro fede. Ma era rispettosissimo del valore della laicità che è una delle sue lezioni più alte. No, non mi sono mai trovata in disaccordo, anzi mi sono sentita accompagnata da lui nel mio percorso in questi anni. E ho sempre approvato le sue scelte, sia durante il suo settennato che dopo».
Gianfranco Rotondi sostiene che Scalfaro era un democristiano anomalo che si affermò solo dopo la fine della Dc. Concorda?
«È un giudizio un po' superficiale. È vero che non ha ricoperto grandi incarichi di partito, anche se credo abbia fatto più comizi di tutti. La sua elezione a sorpresa al Quirinale dimostra la riserva morale che poteva ancora esprimere un partito che stava entrando in crisi. Venne eletto dopo la strage di Capaci, su proposta di Pannella. Segno che la Dc, anche mentre cadeva sotto i colpi delle sue divisioni, aveva ancora risorse preziose da offrire al paese».
Ma come spiega che un democristiano moderato, contrario al compromesso storico e alla linea di Zaccagnini, ascrivibile all'area destra della Dc, sia oggi considerato il fautore del ribaltone a favore del centrosinistra e un testimonial del Pd?
«Credo che la chiave di interpretazione del suo percorso stia nel fatto che una cosa è essere esponente di un partito, altra cosa essere Presidente della Repubblica in anni così difficili. Ha gestito lui la prima grande crisi finanziaria del paese, evitando la bancarotta con i governi Amato e Ciampi. Ed ha applicato la Costituzione durante la crisi del governo Berlusconi, non per coprire il ribaltone, ma per rispettare la centralità del Parlamento. Lui si è reso conto che alla fine del suo mandato era considerato uomo di parte per aver difeso la Costituzione. E quando andai a dirgli che secondo me dovevamo proporgli un secondo settennato, mi rispose che non era possibile. La situazione italiana era a un punto tale, per cui la Costituzione invece che unire divideva. Ma ha vinto lui, perché la nostra Carta è ancora lì, intatta. E il suo antiberlusconismo è stato fedeltà alla Costituzione, non avversione nei confronti di una persona».
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