
23/02/11
L'Unità
Piero Fassino, dica la verità, non è preoccupato? I sondaggi la danno superfavorito, ma ormai le primarie per il Pd sono più spine che rose.
Sorride. Poi, ammette: «Un po' si. A Torino c'è una situazione apparentemente paradossale: sul mio nome c'è un consenso larghissimo, testimoniato da tutti i sondaggi che dicono che con me candidato il centrosinistra vince le amministrative al primo turno con largo distacco su tutti gli altri candidati. Il paradosso è che è più difficile vincere le primarie che le elezioni, ma sono fiducioso che alla fine domenica prossima, 27 febbraio, si realizzi un consenso maggioritario su di me».
Il suo avversario principale, Davide Gariglio non va per il sottile con lei: la attacca sul dato anagrafico e aggiunge che è un candidato "calato" da Roma.
«Gariglio usa toni aggressivi che mi paiono inutili e controproducenti prima di tutto per lui, perché chiunque mi conosca sa che sono un torinese doc, profondamente radicato nella città e nella sua società. Presentarmi come candidato romano è una caricatura a cui nessuno crede. Anche insistere sul dato anagrafico è debole, intanto perché lui ha 43 anni e non 25 e poi sta in politica da 20. Non mi sembra rappresenti una grande novità. I cittadini vogliono un sindaco che sia solido, autorevole e che abbia esperienza».
Come ha convinto buona parte dei "rottamatori" ad appoggiarla?
«Parlando dei miei progetti per la città. È significativo che tutta l'area dei dirigenti giovani che ha come riferimento Matteo Renzi, si sia schierata con me, così come gran parte dei giovani consiglieri comunali. Io faccio della mia esperienza una patrimonio da condividere proprio con i più giovani, la nuova classe dirigente. E intendo anche formare la giunta, se sarò io il sindaco di Torino, con il 50% di donne».
Bersani ha detto che il risultato di Torino avrà un valore politico che peserà sul piano nazionale. Una bella responsabilità...
«Le parole di Bersani sono un riconoscimento di una cosa che sta nella storia italiana. Torino ha sempre esercitato una funzione nazionale e quel che accade lì non riguarda mai soltanto la città ma l'intero Paese. Lo si è visto ancora in queste settimana con la vicenda Mirafiori, diventata tema centrale del dibattito politico nazionale. D'altra parte se si guarda ai 150 annidi storia d'Italia, che stiamo per celebrare, si vede che in ogni tornante decisivo per il Paese, Torino è stata un punto strategico. Dalla prima grande industrializzazione di fine ottocento, alla prima Camera del Lavoro, alla prima Associazione degli industriali. Questa è una città culla del pensiero progressista e laico e del solidarismo cattolico, una delle capitali dell'antifascismo, dei motori di ricostruzione post-bellica e del boom economico».
Torino oggi è anche la città che Marchionne ogni tanto minaccia di lasciare. Quanto crede che influiranno le posizioni assunte dai candidati durante la vertenza Fiat?
«La vicenda di Mirafiori ha certamente tenuto banco e il tema del futuro della Fiat è una delle questioni che sta di fronte a chi dovrà fare il sindaco. La mia posizione a favore dell'accordo, che poteva aver suscitato qualche interrogativo, a questo punto è però risultata chiara a gran parte dell'opinione pubblica. Io mi sono speso per quell'accordo perché voglio che la Fiat resti a Torino e oggi possiamo insistere con Marchionne perché onori gli impegni presi e non se ne vada. Se quell'accordo non ci fosse stato oggi staremmo a discutere della chiusura di Mirafiori e della Fiat che lascia l'Italia».
L'emergenza lavoro investe Torino come il resto del Paese e il sindaco è il primo riferimento per i cittadini, lei che propone?
«Sono quattro le grandi criticità da affrontare una volta al governo della città e il lavoro è la prima. Una persona su due di quelle con cui ho parlato la vive come una vera e propria emergenza. Per affrontarla bisogna agire su tre direttrici: veicolare investimenti diretti su infrastrutture e servizi per creare posti di lavoro; favorire le condizioni per attrarre capitali nazionali e esteri su Torino utilizzando le opportunità che ci offrono realtà come il Politecnico e l'Università che creano laureati con un'alta specializzazione; incentivare percorsi di formazione e stabilizzazione del lavoro laddove è precario. Altra grande questione: a Torino ci sono il 20% delle famiglie sotto la soglia di povertà, 200mila sono costituite da una persona sola e la maggior parte di loro è in età avanzata. Bisogna dunque rafforzare un welfare locale in grado di sostenere queste persone».
Torino, come Milano, soffocata dallo smog. Quale pensa sia la soluzione?
«Bisogna realizzare la linea 2 della metro, proseguire l'investimento già avviato per costruire parcheggi sotterranei, puntare sull'energia pulita per riscaldamento e mobilità e ampliare ulteriormente la dotazione di verde. Ma l'altro sforzo che va fatto è quello di superare le differenze che separano il centro della città, diventato straordinario, dalla periferia e questo lo si può fare se continua la grande opera di trasformazione delle aree industriali dismesse».
Le è arrivato sostegno da qualcuno che davvero non si aspettava?
«Da un tassista che mi ha detto: "Ca sente mi per i russ l'ei mai vutà, ma chiel mi la votu"». Traduzione: «Io per la sinistra non ho mai votato, ma a lei la voto».
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