
09/09/10
Tempi
«Il ragionamento sulla legge elettorale non può prescindere da un discorso sul sistema politico e sulla riforma costituzionale. Non ha alcun senso parlarne in astratto». Oggi parlamentare del Popolo della libertà, l'ex radicale Peppino Calderisi è il "mago dei sistemi elettorali", a suo agio nello spiegare i segreti del defunto Mattarellum, i trabocchetti del Porcellum e le incognite dei sistemi che si vagheggiano quando si riaffaccia sulla scena politica l'ipotesi del voto. Come accade adesso. Così, mentre nel Pdl andava in scena la guerra dei Roses, a fine agosto Massimo D'Alema confidava il suo "sogno" a Repubblica: una riforma elettorale, da realizzare prima di tornare alle urne, ispirata al sistema proporzionale alla tedesca.
Una proposta che vede nettamente contrario il Pdl e spaccato il Partito democratico. Per ragioni che Calderisi ricostruisce partendo dalla fine del 2005, quando la maggioranza di centrodestra (Forza Italia, An, Lega e Udc) diede i natali alla legge elettorale opera di Roberto Calderoli e poi ribattezzata "Porcellum" da Giovanni Sartori. Perché è essenziale ripartire da lì per comprendere cosa c'è in ballo sul tema fondamentale (anche se sempre più noioso) della riforma elettorale. «Quello che è in atto da parte del Pd in particolare, è un tentativo di vera e propria restaurazione», attacca Calderisi. «D'Alema e Bersani, ritenendo che il Pd non abbia e non possa avere una proposta politica credibile, capace di ottenere più consensi elettorali (con la legge vigente basta un solo voto in più) di quella di Berlusconi e del centrodestra, vogliono tornare alla vecchia proporzionale, cancellare il bipolarismo, sottrarre agli elettori il principale diritto politico di una democrazia, cioè il diritto di scegliere chi deve governare, per attribuirlo alle alleanze e ai giochi dei partiti dopo il voto degli elettori. Togliere il premio di maggioranza, che assicura il prerequisito della governabilità (la maggioranza assoluta dei seggi) è il grimaldello di questa operazione. D'Alema cerca di surrogare con la manovra politica e la modifica della legge elettorale la debolezza politica e sociale del Pd e della sinistra in genere rispetto all'azione di governo e alla forza del blocco sociale di centrodestra».
Onorevole Calderisi, l'attuale legge elettorale italiana è stata scritta principalmente dal ministro Roberto Calderoli, che in un'intervista l'ha poi definita «una porcata», dando il la al battesimo di "Porcellum" operato dal politologo Giovanni Sartori. Ci spiega perché?
Innanzitutto occorrerebbe ricordare che proprio Sartori nel '94 disse che il Mattarellum (nato con l'intenzione di consentire l'alleanza post-elettorale tra Occhetto e Martinazzoli) rischiava di dividere l'Italia in tre parti. E in effetti, se Berlusconi non avesse fondato Forza Italia e dato vita al Polo delle libertà e al Polo del buongoverno, rendendo nazionali quelle elezioni politiche e imprimendo con la sua leadership una curvatura maggioritaria a quel sistema elettorale, avremmo davvero corso questo rischio: la Lega, allora secessionista, avrebbe vinto tutti i collegi uninominali del Nord, il Pc-Pds quelli del centro, l'Msi e spezzoni dei vecchi partiti Dc e Psi quelli del Sud. Una situazione di assoluta ingovernabilità. La legge Calderoli ha abolito i collegi uninominali ma ha inserito il premio di maggioranza nazionale, fondamentale - a mio avviso - oltre che per la governabilità anche per la tenuta dell'unità nazionale.
Calderoli dice che il Porcellum garantisce l'imprevedibilità. È vero?
È verissimo che vince chi ottiene un solo voto in più a livello nazionale. Ma è anche vero che chi ha voluto quell'impianto, il vero autore politico, fu Casini, non Calderoli, le prove stanno negli atti parlamentari. Inizialmente le proposte di modifica della legge elettorale all'esame della Commissione affari costituzionali della Camera riguardavano solo la correzione di alcune aberrazioni del Mattarellum. Il testo base predisposto dal presidente della Connnissione, l'onorevole Donato Bruno, prevedeva infatti due sole misure: la prima era l'abolizione dello "scorporo", il famigerato meccanismo che puniva la coalizione che vinceva troppi collegi (una sorta di "castigo di maggioranza" che spingeva entrambi gli schieramenti ad aggirare questa norma con il ricorso alle "liste civetta"); la seconda era la semplificazione della scheda elettorale (a fronte del multipartitismo esasperato del sistema politico). Con quelle modifiche al Mattarellum la partita elettorale sarebbe stata ancora più aperta di quanto non si sia poi rivelata il 9 aprile 2006. Ma proprio per queste ragioni, l'Udc di Follini e Casini, che già da tempo contestava la leadership berlusconiana, si opponeva a quelle modifiche del Mattarellum. Supportata dalle grande stampa avversa al Cavaliere, l'Udc martellava da mesi il leader del centrodestra e pretendeva, anche a costo della rottura, un sistema elettorale senza collegi uninominali, a base proporzionale con il premio di maggioranza.
L'Udc allora parlava di "sistema tedesco", lo stesso che ora propone D'Alema.
Nel 2005 Casini propose e ottenne il sistema proporzionale con il premio di maggioranza, l'attuale legge Calderoli, che in realtà dovrebbe chiamarsi legge Casini. Il quale Casini, senza alcun dubbio, pensava già allora ad una fase due della modifica della legge elettorale, da realizzare in un momento successivo, vale a dire la soppressione del premio di maggioranza per giungere così al tanto agognato "sistema tedesco". Si citava e si cita la Germania, anche ora da parte di D'Alema, non per migliorare il nostro bipolarismo, senza dubbio imperfetto (anche perché occorrerebbero interventi a livello costituzionale), ma semplicemente per abbatterlo, per tornare al sistema nel quale i partiti non devono più dichiarare prima del voto alleanze, premier e programma e nel quale, pertanto, la scelta del governo non è più affidata agli elettori, ma ai partiti dopo le elezioni. L'unico modo attraverso il quale pensano di poter sconfiggere Berlusconi. D'Alema pensa che, in questo modo, il Pd possa allearsi prima del voto con Di Pietro e con i vari soggetti alla sua sinistra e, dopo il voto, con un centro forte rappresentato dall'Udc, dall'Api di Rutelli e altre spezzoni centristi. Il baricentro del Pd, di fatto, si sposterebbe a sinistra, facendo venir meno le ragioni stesse che hanno portato alla nascita del Pd (da qui le ragioni del dissenso all'interno del Pd). D'Alema ribadisce la sua classica posizione culturale e politica, ancorata all'idea di una sinistra tradizionale a vocazione minoritaria che cerca di farsi poi portare al governo da altri (magari in cambio dell'appoggio per la propria candidatura al Quirinale). Casini pensa che con il sistema proporzionale senza premio di maggioranza 1'Udc, presentandosi agli elettori senza alleanze dichiarate, possa non rimanere schiacciata dalla campagna del "voto utile", quindi accrescere i propri consensi e divenire l'ago della bilancia del sistema (magari per conquistare in questo modo Palazzo Chigi).
Certamente il Pd è molto diviso al proprio interno su questa modifica alla "tedesca" della legge elettorale...
Ma pur di sconfiggere Berlusconi alla fine troverebbero un'intesa su qualche marchingegno elettorale che, non mutando la natura restauratrice dell'operazione, farebbe in modo di accontentare tutti, compresa la gran parte dei fautori del ritorno ai collegi uninominali. Non a caso, Mattarella concepì la riforma elettorale che porta il suo nome ispirandosi proprio al sistema tedesco (un mix di voto di lista e di collegi uninominali nel quale il riparto complessivo dei seggi avviene però in modo integralmente proporzionale, sbarramento a parte). Non a caso Bersani dice: "Mi si dia una maggioranza disposta a cambiare la legge vigente, che poi la legge nuova si fa". Ecco perché l'appello per il ritorno all'uninominale, sottoscritto anche da alcuni convinti bipolaristi, rischia oggi di rappresentare un grimaldello per andare proprio nella direzione del "sistema tedesco".
Non ci sono margini di miglioramento per il sistema attuale, in particolare per quanto riguarda le lunghe liste bloccate?
Di fronte al tentativo di restaurare il sistema proporzionale e abbattere il bipolarismo non ci sono, evidentemente, le condizioni politiche per un dibattito serio volto a migliorare alcuni aspetti del sistema vigente. In ogni caso è da respingere con fermezza il ritorno al sistema delle preferenze. L'elettore verrebbe solo illuso di poter scegliere il proprio deputato. In realtà, a prevalere sarebbero solo le logiche clientelari, il voto di scambio e la possibilità di infiltrazioni della criminalità organizzata. Abbiamo già vissuto quell'esperienza. Il voto di preferenza comporterebbe una lievitazione dei costi della politica e un modello di partito basato sul sistema delle correnti organizzate, minando l'unità di indirizzo politico del partito politico e la funzione unificante della leadership. L'alternativa alle lunghe liste bloccate può invece essere costituita da circoscrizioni molto più piccole, come in Spagna, dove si eleggono in media cinque o sei deputati ciascuna. Ciascun partito ne eleggerebbe al massimo tre o quattro. Sarebbero possibili le primarie o altre forme di selezione dei candidati attraverso convention, gazebo e l'uso di internet. In questo modo migliorerebbe decisamente il rapporto tra candidati e territorio, tra eletti ed elettori. E i partiti potrebbero radicarsi meglio e seriamente sul territorio.
Così pure per la questione dei premi regionali per l'elezione del Senato?
Sarebbero da sostituire con un premio di maggioranza nazionale, come per l'elezione della Camera. L'allora presidente della Repubblica Ciampi si oppose a questa proposta sostenendo che essa contrastava con la Costituzione. La tesi è per me priva di fondamento, ma ripeto, a prescindere da questo e da quel che potrebbe pensare al riguardo l'attuale presidente della Repubblica, non vedo proprio le condizioni politiche per una seria discussione volta a migliorare la vigente legge elettorale.
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