
Il programma radiofonico ‘Zapping’ conduce con ‘Qn’, ‘il Resto del Carlino’, la ‘Nazione’ e il ‘Giorno’ una campagna per la liberazione dei prigionieri di coscienza a Cuba in gravi condizioni di salute, e per la tutela dei diritti umani nell’isola. Pubblichiamo in esclusiva un’intervista al dissidente Guillermo Farinas.
Guillermo Farinas, dissidente cubano, è al 56esimo giorno di sciopero della fame. E non ha alcuna intenzione di fermarsi, nonostante due collassi e i ricoveri d’urgenza nell’ospedale di Santa Clara. Farinas,medico psicologo e giornalista, ha detto che cesserà lo sciopero solo se il presidente Raul Castro deciderà di liberare 26 prigionieri politici gravemente ammalati.
All’indomani della morte del dissidente Orlando Zapata Tamayo, morto dopo 85 giorni di sciopero della fame, Farinas è stato arrestato insieme a altri 125 intellettuali. L’abbiamo intervistato in esclusiva, nonostante le rigide misure di sorveglianza.
Ha dichiarato di voler rifiutare cibo e acqua sino alla morte. E’ fermo su questa decisione? «Sì. Ora più che mai bisogna andare avanti, se necessario sino alla morte».
Quali sono i suoi obiettivi?
«Sono tre. In primo luogo non deve rimanere impunito l’assassinio politico di Tamayo nelle carceri cubane. Le autorità non hanno fatto nulla per aiutarlo, negandogli anche l’acqua negli ultimi giorni. Raul Castro Ruz ha detto che era dispiaciuto per quella morte. Se fosse stato vero, ora avrebbe già fatto liberare i 26 prigionieri di coscienza che secondo i medici sono in punto di morte. Questo è il mio secondo obiettivo. Ma Raul è stato ipocrita e continua cinicamente a negare questo gesto umanitario. In terzo luogo,voglio che il mondo capisca che il regime comunista cubano cerca di accreditare all’estero un’immagine umanitaria assolutamente falsa. Continua, ad esempio, a inviare medici, esperti, star dello sport e dello spettacolo nei paesi del Terzo Mondo per obiettivi di immagine politica, ma anche turistica. E’ un vero inganno perché la realtà è profondamente diversa: basta vedere gli orrori che accadono nell’isola e soprattutto nelle carceri, assolutamente disumane».
Con il passaggio dei poteri da Fidel a Raul c’è stato qualche segnale di apertura?
«L’unico cambiamento che ho potuto capire è questo: Fidel considerava Cuba una sua impresa privata, Raul considera Cuba e i cubani una propria caserma privata. E la repressione è aumentata moltissimo negli ultimi tempi».
Lei ha fatto lo psicologo in diversi ospedali cubani, è giornalista, e coordinatore del Forum Antitotalitario Unito. Da dissidente ha subito arresti e persecuzioni. C’è ancora spazio per lottare a favore dei prigionieri di coscienza e per i diritti umani?
«Nonostante tutto sì, anche se molto meno rispetto al passato. Il governo cubano si trova oggi di fronte a due crisi: una crisi di credibilità, che si è accentuata dopo l’assassinio di Orlando Tamayo e che si è tradotta in una repressione più rigida. E’ una crisi determinata dalla corruzione, sempre più estesa soprattutto nelle alte sfere di governo, militare e civile. Ad esempio, il ministro dell’industria alimentare Alexandro Roca Iglesias si trova in carcere; anche diversi imprenditori cileni, che avevano deciso di investire a Cuba, si trovano agli arresti da molto tempo e tanti esponenti del governo e delle forze armate. E’ una crisi generalizzata e il regime risponde con la politica del terrore, intensificando la repressione ad ogni livello della società».
Gli intellettuali cubani come vedono il regime comunista in questo momento?
«Prendono le distanze. Il regime puzza, è canceroso. Si difende cercando di manipolare in tutti i modi l’opinione pubblica. Ma gli intellettuali se ne accorgono e, quando non sono all’opposizione, si disimpegnano da ogni iniziativa promossa dal potere pubblico».
Le donne e i giovani come reagiscono verso la dittatura?
«In modo molto di più che in passato. La resistenza è molto più forte. Lo si è visto anche al recente congresso dei giovani comunisti, dove molti hanno riconosciuto che i ragazzi sono demotivati, non hanno più l’entusiasmo di una volta e si rifiutano di entrare nel partito comunista».
In quel congresso Raul Castro ha detto che non vuole la morte di Guillermo Farinas.
«Falso. Raul ha decretato pubblicamente la mia morte, confermando la mia sentenza di morte capitale. Questo non lo ha detto un giornalista, ma il presidente stesso, in un discorso ufficiale".
Farinas, lei deve continuare a vivere, perché le lotte si conducono da vivi e non da morti.
«Spero che il presidente Raul Castro accolga le mie richieste. Diversamente seguirò la scelta del mio amico Orlando Zapata Tamayo, assassinato dal regime. Siamo nelle mani di Dio».
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