
«Siamo pronti a trattare con Marchionne ma non sotto minaccia perché la Cgil non ha mai detto di no all’aumento dei turni di lavoro se serve a difendere l’occupazione». Guglielmo Epifani, leader della Cgil, accetta la sfida lanciata dall’amministratore delegato della Fiat. Nessun tabù ma neanche un sì acritico alle proposte del Lingotto.
Epifani, si è sentito il "convitato di pietra" all’assemblea degli azionisti, visto che secondo Marchionne il futuro degli stabilimenti italiani dipenderà dalla disponibilità del sindacato sulla flessibilità?
«No. Ho pensato, piuttosto, che l’insistenza di Marchionne sugli investimenti in Italia e sul raddoppio della produzione nelle nostre fabbriche fosse una risposta proprio alle preoccupazioni della Cgil».
Preoccupazioni che rimangono?
«Dico che siamo di fronte a una svolta potenziale. L’auto che si stacca dal resto del gruppo è una novità».
Una novità positiva?
«Sì, vuol dire che ogni settore industriale dovrà contare sulle proprie forze. Negli ultimi dieci anni, prima della grande crisi, i trattori e il comparto degli autoveicoli industriali hanno subìto le difficoltà dell’auto. Ora ciascuno punta sul proprio core business. È una scelta giusta che responsabilizza prima di tutto le imprese. Le costringe a investire sulla qualità. Ma qui c’è anche il vero punto interrogativo, almeno per quel che riguarda l’auto: riuscirà Marchionne a fare di due debolezze, Fiat e Chrysler, un forte player globale? Credo che ci vorrà una strategia di alleanze per rafforzare la massa critica in Europa e per penetrare nei mercati asiatici».
Marchionne vi chiede di uscire dalle vecchie liturgie, di definire un accordo che consenta l’applicazione del piano. La Cgil dice sì o no?
«Io dico che il sindacato deve saper raccogliere questa sfida, ma anche che questa sfida non va subita. Per questo non mi piace il "lato B" di Marchionne».
In realtà è il "piano B" che vuol dire trasferimento delle produzioni all’estero in mancanza di un accordo con i sindacati. Lo considera un ricatto?
«Ho parlato di minaccia. Comunque preferisco il "lato A", ma la flessibilità va contrattata. Finora Marchionne ci ha spiegato come sia stata dura e lunga la trattativa con il sindacato americano. Ci ha detto che alla fine è stato raggiunto un accordo che non è stato più messo in discussione. Ecco, noi vogliamo fare esattamente come loro: una trattativa dura nella quale siano in gioco i diversi interessi».
Maggiore flessibilità significa più turni di lavoro, meno pause, ritmi più elevati. La Cgil, con la Fiom, è disponibile ad aprire un negoziato su questo?
«Sono materie di competenza dei metalmeccanici. In ogni caso non abbiamo mai detto no all’aumento dei turni per difendere l’occupazione. Bisogna trovare un equilibrio tra l’utilizzo degli impianti e le condizioni di lavoro. E’ un terreno delicato perché più turni, checché se ne pensi, significa anche più rigidità nell’organizzazione del lavoro».
Dunque Pomigliano potrebbe raggiungere tassi di produttività pari a quelli dello stabilimento polacco di Tichy?
«Non dobbiamo assumere riferimenti di altri, abbiamo i nostri. Ripeto: la sfidava raccolta ma non sotto la minaccia di delocalizzazioni. Marchionne ha trattato con i sindacati americani, ha trattato con la Generai Motors. Bene: deve trattare anche con noi».
Ritiene superato il rischio di esuberi?
«Restano diverse incertezze che riguardano la componentistica e Termini Imerese, per il quale va trovata una soluzione coinvolgendo la Fiat. Poi c’è ancora tanta cassa integrazione. Il futuro partirà solo dal 2014. In mezzo c’è un mare da attraversare per riconquistare un mercato niente affatto facile.
Infine manca una politica industriale». Cosa potrebbe fare il governo?
«Almeno un piano di sostegno per l’innovazione e la ricerca sui motori a basso impatto ambientale».
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