
Fabrizio Cicchitto, capogruppo del Pdl alla Camera e da anni fra i più stretti consiglieri dei premier, non è d’accordo sulla rivendicazione della Lega: «Sul piano del metodo non credo che una cosa così seria e delicata come le riforme costituzionali possa essere monopolio di una sola parte, anche dentro la maggioranza. Nemmeno del Pdl, che è tre volte più grande» del partito di Bossi.
Maroni ha rivendicato al Carroccio una «regia» delle riforme?
«Le riforme possono solo essere il frutto delle riflessioni di tutti, definite con i diversi contributi, arrivando a scelte di equilibrio comune. Nessuno può nel metodo, come nel merito, blindare qualcosa, anche perché c’è un duplice confronto da fare: dentro la maggioranza e con l’opposizione. L’unico che, in ultima analisi, può rivendicare una regia è il capo del governo».
Il ministero delle Riforme è della Lega.
«L’Italia è fatta dal Nord, dal Centro e dal Sud. L’unico partito veramente nazionale è il Pdl. Senza alzare la voce, cosa che sarebbe sbagliata per tutti, dopo il contributo che ha dato la Lega al risultato delle Regionali e che ha dato il Pdl da Roma in giù, occorre solo un confronto sereno».
La Lega indica il semipresidenzialismo alla francese. Siete d’accordo?
«Berlusconi ha detto che le scelte finali devono anche riguardare una consultazione popolare. E possono essere l’elezione diretta del presidente della Repubblica; il semipresidenzialismo, su cui ho molti dubbi; o ancora l’ipotesi Westminster, ovvero la razionalizzazione della situazione attuale: un premier eletto direttamente con l’indicazione sulla scheda, con il potere di nomina e revoca dei ministri, e quello di andare ad elezioni nel caso in cui la maggioranza parlamentare espressa dal corpo elettorale venga meno».
Anche lei si spinge nel merito.
«Sono ipotesi di lavoro. Non ho una verità rivelata in tasca».
Perché avete dei dubbi sul semipresidenzialismo?
«Perché anche in Francia hanno dei dubbi. Dobbiamo trovare dei sistemi coerenti. Quelli intrecciati mutuando qualcosa dall’estero e impiantandola in Italia non è detto che funzionino».
Su quali punti c’è maggiore convergenza?
«Sulla riduzione del numero dei parlamentari c’è un accordo totale. Va ancora definito cosa sarà il Senato. Siamo di fronte a due scelte: o un Senato e una Camera che danno la fiducia ma che trattano materie distinte, oppure quello che si suole chiamare Senato federale ma che implicherebbe l’eliminazione della Conferenza Stato-Regioni e una rivisitazione totale del modo in cui lo si elegge. Al di là degli slogan gli approfondimenti sono indispensabili».
Il contributo dell’opposizione è una condizione necessaria?
«È ovviamente auspicabile un accordo, ma ricordo che esistono tre opposizioni: Udc, Pd, Idv, che hanno anche posizioni profondamente diverse fra loro. La speranza è quella di arrivare ad un’intesa con i settori più estesi e ragionevoli dell’opposizione, ma non può valere un diritto di veto».
Berlusconi siederà a un tavolo con gli altri leader?
«Sarà, prevedibilmente, un lavoro a due fasi. Una di confronto più parlamentare. Un’altra che si schiuderà quando le cose arriveranno ad un livello di maggiore maturazione. A quel punto è ipotizzabile che scendano in campo i leader. Occorre inoltre piena consapevolezza che esiste una tematica parallela, quella che riguarda le grandi questioni economiche e sociali del Paese».
Che ne è stato della riforma dei regolamenti del Parlamento?
«È importantissimo che non vadano esclusi dal lavoro che ci attende, anzi. È uno dei punti di maggiore criticità del sistema: si fanno le riforme per renderlo più efficiente, per arrivare finalmente ad un bipolarismo civile, e anche i regolamenti non potranno restare gli stessi».
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