
Risposta. Credo che i tre farebbero un grande errore a scambiare l'urgenza con la fretta. Due sono le cose che possono essere fatte subito, senza combinare pasticci. La prima è quella di congelare l'ultima tranche del rimborso elettorale relativo alle politiche del 2008; badi bene, ho detto «congelare», il che è tecnicamente possibile perché con un mero congelamento i partiti non verrebbero meno agli impegni assunti e quindi non si porrebbe alcun problema di legittimità costituzionale. La seconda è l'azzeramento della legge-truffa sui rimborsi elettorali: così come fu fatta in quattro e quattr'otto tradendo in un colpo solo Costituzione e volontà popolare, in quattro e quattr'otto può essere abrogata. Poi si deve voltare pagina, ma per davvero. Non con leggine-pecette o riformette per tenere buona l'opinione pubblica, ma con una radicale e profonda riforma a cominciare dall'applicazione, per la prima volta dopo 60 anni, dell'articolo 49 della Costituzione.
R. Secondo me meglio stare alla larga da operazioni lampo di dubbia legalità costituzionale, per non parlare della natura oligarchica e assolutamente opaca delle discussioni in corso in queste ore. Ma, a parte la forma, nella sostanza andrebbe data prima di tutto diversa veste giuridica ai partiti, passando da soggetti privati a soggetti pubblici con tutto ciò che ne consegue: obblighi di rendicontazione, certificazione e pubblicazione dei bilanci on line, sanzioni in caso di inadempienze così come previsto dai codici. Proprio oggi (ieri per chi legge, ndr) il Consiglio d'Europa ha denunciato carenze importanti nel nostro sistema, a partire dai controlli difficilmente esercitabili dalle autorità pubbliche come pure il ruolo molto limitato che possono svolgere i cittadini in questo senso. Poi sono la prima ad esser d'accordo con il detto «La democrazia non ha prezzo, ma dei costi sì...». Ma il costo della buona politica è assolutamente sostenibile, è quello della partitocrazia a non esserlo. Per questo mi preoccupa non solo lo spreco di denaro pubblico attraverso i rimborsi elettorali - che, tra l'altro, sono sempre superiori alle spese effettivamente sostenute, eccetto per noi Radicali, il che provoca un danno erariale direi unico al mondo - ma anche l'invadenza dei partiti negli enti economici statali e parastatali, senza tener minimo conto del merito, dei curricula.
D. Fine quindi di ogni forma di finanzia- mento pubblico?
R. Lo stato può senz'altro dare un contributo per sostenere il costo della politica: fornendo risorse per l'autenticazione delle firme necessarie per i referendum, garantendo sconti alle spese postali, assicurando spazi gratis nel servizio pubblico radiotelevisivo, sostenendo quindi attività documentabili, mentre delle spese di struttura devono farsene carico i singoli partiti attraverso le donazioni dei propri sostenitori. Non a caso la tessera radicale è considerata cara: proprio perché, ripeto, la buona politica ha un costo.
R. Ma certo, sono cose che dovrebbero essere scontate. Però attenzione: dire che il proprio bilancio è certificato da una società di revisione indipendente va bene forse Tour épater le bourgeois», come dicono i francesi, ma non è certamente sufficiente. Ci sono molti modi per raggirare pure i revisori. Ripeto: la strada maestra è di trasformare i finanziamenti pubblici dati a fondo perduto in servizi per i partiti e per i cittadini organizzati, come fanno in Inghilterra con i cosiddetti «policy development grants».
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