
02/12/10
Europa
La politica è un’arte. La politica è visione del mondo, intuizione delle forme, immaginazione del possibile, realizzazione di un’idea. In poche parole, la politica è l’arte del "nuovo possibile". La politica è come la musica, anche quando non usa le parole, sa che può parlare in profondità. È come la danza, perché quando il corpo è in movimento può anche scegliere il silenzio. È come il teatro, perché ha bisogno di un palcoscenico. Ma la politica deve saper ascoltare, comprendere, osservare. Perché l’arte è linguaggio, comunicazione, creatività. È visione del mondo, intuizione delle forme, immaginazione del possibile. Come la politica. Non come il potere.
La politica non è la forza dei fatti, ma la forza delle idee. Non è l’identità ideologica, ma il vissuto della vita. Non è la frenesia del pragmatismo, ma la saggezza del dialogo. Ormai, invece, da anni, siamo arrivati al trionfo dell’antipolitica. Il potere pretende di fare senza sapere, ritiene di fare senza ascoltare, crede di fare senza conoscere, continua a fare senza pensare, pensa di fare senza essere. L’antipolitica è il fare senza l’essere. Ed ecco che il pensiero vacilla.
Purtroppo, la mentalità più diffusa nella classe dirigente è quella del pragmatismo ideologico e aleatorio, falso e inconcludente. I meccanismi utilizzati dai più restano quelli del potere fine a se stesso: il verticismo, l’attaccamento alla poltrona come unico fine, la rincorsa alle seggiole e agli sgabelli, la spartizione sottobanco, l’affarismo, i giochi partitocratici, il sopruso, le menzogne, l’auto-inganno. Insomma, ovunque si confonde il potere con la politica. Ma il potere è il nulla, è il lato oscuro della forza, è l’immobilismo, l’omertà, l’arroganza, la cupidigia, l’ingiustizia.
Infatti, il blocco unico e partitocratico del potere è trasversale, domina la scena perché domina nel Palazzo. È tempo di cambiare, di tornare al futuro, di aprire le stanze chiuse, di far arieggiare le segreterie di partito, di permettere la circolazione delle idee, di favorire il dialogo, la conoscenza, il sapere. Perché politica è cultura. E cultura è politica. È questa la premessa su cui si basa l’idea di una Costituente liberale e democratica, vista come alterità possibile rispetto allo status quo. Buona parte del mondo liberale, non avendo avuto grandi capacità immaginative, non ha saputo sognare fino in fondo questa rivoluzione. Finora è stato così, ma è necessario cambiare. In più, c’è un fattore ideologico: la pesantezza di una realtà burocratica che di fatto ha ostacolato la possibilità di sognare il cambiamento. E non mi importa di passare per un sognatore perché chi non sogna più ha già perso in partenza, perché riconosco che l’idea di una Costituente liberale può essere forse un’utopia, ma si è dato troppo spazio al nulla e, ora, quel che importa è il cammino verso un sogno.
Questa società sembra talmente abituata a vivere in tali condizioni, che le riesce difficile immaginare qualcosa di diverso: finendo così per subire una realtà pesante, ottusa, soffocante per la nostra fantasia. È inutile attuare una "rivoluzione liberale" e avere una società libera, se ci si limita a pensare alla vittoria del liberalismo solo sul piano elettorale, qui non c’è da vincere ma, come ripete spesso Marco Pannella, c’è da "con-vincere", da "vincere con”, da vincere insieme. Magari cominciando con l’affrontare il sogno dell’Europa politica, con l’ideale della patria europea, con il progetto per gli Stati Uniti d’Europa. E chi meglio di un quotidiano che si chiama Europa può spingere in tale direzione?
Quella che abbiamo seduta nel Palazzo, in buona parte, è una classe politica reazionaria e tradizionalista, rimasta sempre imbrigliata in un’ottica di tipo statalista, partitocratica, spartitoria. E quando ha avuto l’occasione di cambiare non l’ha fatto.
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