
Crisi rientrata, o meglio accantonata. Imbarazzato dalla scelta del momento per annunciare la costruzione di nuove case negli insediamenti israeliani a Gerusalemme ma non dalla sostanza. il premier Netanyahu ha chiesto scusa. E il vice presidente americano, per cercare di salvare almeno le briciole dell'iniziativa di pace di Washington ètornato a sollecitare la «ripresa immediata» dei negoziati. In privato, però, il vice di Obama, parlando con i suoi collaboratori, è stato estremamente duro. L'atteggiamento israeliano, avrebbe affermato, sta «mettendo in pericolo le forze americane in Iraq, Afghanistan e in Pakistan. Mette in pericolo noi e rimette in pericolo la pace regionale». L'America, per il momento, «sarà meno attenta alle esigenze israeliane», il commento laconico di un esponente dell'amministrazione riferito da un quotidiano israeliano.
Cosa succederà ora? Washington cercherà di convincere i palestinesi a riprendere i colloqui. L'urgenza è palese. Senza un accordo per la creazione di uno stato palestinese indipendente. Israele continuerà a mangiarsi il territorio "contestato". Sia in Cisgiordania che a Gerusalemme. I progetti avviati per il quartiere ebraico ortodosso di Ramai Shlomo, infatti, fanno parte della politica d'espansione che sta rendendo sempre più difficile la soluzione dei "due stati per due popoli". E senza uno stato palestinese, riconoscono ormai anche a Washington, la regione si avvia verso un nuovo conflitto armato.
Netanyahu, con un comunicato diramato ieri mattina, ha espresso rammarico per la pubblicazione dei dati riguardo all'estensione del quartiere limitandosi ad affermare che i progetti sono alla fase iniziale e ci vorranno alcuni anni prima che possa cominciare l'edificazione delle nuove case. Non una parola, ovviamente, sul significato del progetto: per Netanyahu e il suo governo il futuro di Gerusalemme non è negoziabile. Le 1600 unità annunciate dal ministro dell'interno Yishai sono appena la punta di un iceberg. Il quotidiano Haaretz racconta che l'idea israeliana è di costruire tra 20 e 50 mila nuove case a Gerusalemme Est, ossia in mezzo o attorno ai quartieri arabi annessi dopo la guerra del 1967. Significherebbe rendere impraticabile la divisione della città santa (quartieri arabi ai palestinesi, quelli ebraici a Israele) come aveva suggerito a suo tempo l'allora presidente americano Clinton.
L'altra sera il vice presidente Joe Biden ha reagito con stizza all'annuncio a sorpresa del progetto per le nuove case presentandosi con oltre un'ora di ritardo alla cena con Netanyahu. Ieri mattina Biden è arrivato con ritardo per il suo atteso discorso all'Università di Tel Aviv. Al telefono, ha sentito le giustificazioni del premier e ha accettato le "scuse " successivamente rese pubbliche con un comunicato in cui si legge che i due leader «hanno convenuto che la crisi è alle nostre spalle». Agli universitari di Tel Aviv, Biden ha poi spiegato che Israele non deve stupirsi per l'immediata condanna degli Stati Uniti per l'annuncio della estensione di un nuovo rione ebraico a Gerusalemrne est. Ha ribadito che la decisione «mina alla base la fiducia reciproca» fra israeliani e palestinesi. «A volte proprio un vecchio amico d'Israele, appunto come inc, deve far sentire la sua voce», ha poi insistito nel ricordare per l'ennesima volta come i legami tra Stati Uniti e Israele restano saldi e non possono essere spezzati.
Per i palestinesi, le spiegazioni di Israele sono «inaccettabili». Uno dei più stretti collaboratori di Mahmoud Abbas già l'altra sera aveva detto che di fronte alle nuove «provocazioni» era assurdo avviare il negoziato indiretto (attraverso il mediatore americano) con Israele e ieri il capo negoziatore dell'Autorità palestinese Saeb Erekat è stato ancora più chiaro: «Tutte le decisioni concernenti Gerusalemme est egli insediamenti in Cisgiordania devono essere annullate».
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