
«Ventotto anni e 91 giorni», mi disse raggiante un berlinese incontrato sulla Friedrichstrasse poco dopo la caduta del muro. Il 13 agosto 1961, quando fu eretto, i suoi genitori volevano andare al cinema a Berlino ovest. Ma lui, allora undicenne, era troppo stanco. La mattina dopo li svegliarono i carri armati. Da adulto non era mai più stato nella parte occidentale della sua città. Mi raccontò la sua profonda emozione nel leggere su un manifesto improvvisato questa frase: «Solo oggi la guerra è davvero finita».
La notte del 9 novembre ha segnato la fine del breve ventesimo secolo. Quali immagini collegate alla caduta del muro? Vi viene in mente una folla esultante che danza su un muro coperto di graffiti colorati? Quelli che ballavano erano quasi tutti occidentali, che si erano arrampicati sul lato ovest del muro, la parte ricoperta di graffiti. Quella notte però non era per loro. Era per gli uomini e le donne che sarebbero stati falciati prima di arrivare a distanza di bomboletta spray dal muro, sul lato est. (Ancora nel febbraio 1989 un tedesco dell´est che cercava di fuggire a ovest era stato ucciso. Si chiamava Chris Gueffroy. La guardia che gli aveva sparato aveva ricevuto come ricompensa una medaglia e 150 marchi dell´est). Quella notte era per i tedeschi dell´est che presentandosi in massa ai varchi di passaggio ad ovest trasformarono quella che nelle intenzioni del regime doveva essere una apertura programmata e controllata della frontiera nel trionfo del people power e nella festa della libertà.
L´immagine da ricordare è quella del berlinese dell´est che sbuca dal varco di frontiera, tra la folla esultante. Pallido in volto, con addosso un giaccone imbottito, il fiato che disegna una piuma di ghiaccio contro il cielo notturno. Era appena passato dall´altra parte. Probabilmente non ha mai messo piede all´ovest. Incredibile. Unglaublich! Si accorge della telecamera, la guarda fisso e grida una parola sola: Freiheit! Poi sparisce. In quell´istante la parola libertà, tanto abusata e svuotata di significato, recupera tutta la sua forza e la purezza originaria. Quello è il momento. Quella è l´immagine. È la versione di fine ventesimo secolo del coro dei prigionieri del Fidelio di Beethoven; della Liberté ritratta da Delacroix con il seno destro audacemente nudo, che guida il popolo alla rivoluzione francese.
Il primo varco aperto fu quello della Bornholmerstrasse, sul ponte che passa sulla S-Bahn, la ferrovia sopraelevata cittadina. Il mio amico Werner Krätschell, pastore protestante che si adoperò moltissimo per dare asilo all´opposizione della Germania est fu tra i primissimi a transitare ad ovest. Erano le 23 e qualche minuto. Le guardie misero un timbro sulla sua carta d´identità, sopra la foto. Chiese se gli era consentito poi tornare ad est. No, gli risposero, il timbro significa emigrazione definitiva. Aveva lasciato i due figli piccoli a casa, quindi tentò di fare inversione di marcia, di tornare indietro. Ma proprio mentre stava per riuscirci arrivò correndo un soldato che urlò ai colleghi: «Compagni, nuovo ordine! Il rientro è permesso». Così Werner passò a ovest. Qualche minuto dopo, tra le 23.20 e le 23.30, le guardie aprirono le barriere e lasciarono libero il passaggio.
Qualche giorno fa Werner ha frugato in cantina alla ricerca della sua vecchia carta di identità e mi ha mostrato il timbro sulla foto: 9.11. O>23, cioè alle ore 23 o dopo. Se si dovesse indicare un luogo preciso e il momento preciso in cui si è aperta realmente una breccia nel muro bisognerebbe dire Bornholmerstrasse poco dopo le 23. Nel momento in cui Werner girava il volante la storia del mondo sterzava. Festeggerò con lui a Berlino stasera.
Più tardi, quella stessa notte, una giovane ricercatrice della Germania est di nome Angela Merkel passò attraverso lo stesso varco. Da cancelliera della Germania unita farà la stessa cosa oggi pomeriggio, accompagnata da un gruppo di attivisti dell´opposizione nell´ex Germania est, da Mikhail Gorbaciov, Lech Walesa e senza dubbio, da un codazzo di media. È una compagine azzeccata, simboleggia le tre forze senza cui tutto questo non sarebbe mai potuto accadere: l´avvio e l´esempio della riforma dall´alto (Gorbaciov), la pressione popolare dal basso (Walesa e gli attivisti tedeschi dell´est), e i media della Germania ovest, che annunciarono in anticipo l´apertura dei varchi di frontiera contribuendo a farla diventare realtà. Willy Brandt, uno dei più grandi predecessori della Merkel nell´incarico di cancelliere della Repubblica Federale Tedesca, affermava che per lui il 9 novembre aveva più significato del 3 ottobre, data in cui, meno di un anno dopo, la Germania fu formalmente riunificata. Il giorno della libertà lo emozionava più della data della riunificazione. Il giorno dopo la caduta del muro lo stesso Brandt disse: «Ora ciò che deve stare assieme cresce assieme».
Nel cuore di Berlino l´opera fisica di ricostruzione lascia sbalorditi. Trent´anni fa ho abitato sia nella parte occidentale che in quella orientale della città divisa e portavo sempre con me una bella guida tascabile rossa del 1923. L´ho qui davanti a me mentre scrivo. All´epoca studiavo la storia di Berlino e mi interessava sapere com´era la città nel passato. Quando mi perquisirono al Checkpoint Charlie le guardie della Germania est osservarono la guida sospettosi e mi presero per matto.
Oggi posso passeggiare per il centro con la cartina del 1923 in mano e molti degli edifici disegnati in rosso sono di nuovo lì dov´erano. C´è ad esempio la Pariser Platz attorno alla porta di Brandeburgo, che vedrete stasera in televisione, con le ambasciate francese e americana, l´Accademia delle Arti e l´Hotel Adlon, esattamente dove si trovavano un tempo, anche se in vesti moderne. L´unificazione psicologica avrà tempi più lunghi, ma sta procedendo a sua volta. La notte del 9 novembre non ha aperto la strada solo alla riunificazione della Germania, ma anche a quella dell´Europa. Pochi mesi dopo in un raro momento di "visione" il presidente George H. W. Bush aveva evocato un´«Europa unita e libera». Oggi, 9 novembre 2009, siamo più vicini a questo obiettivo di quanto l´Europa lo sia mai stata nella sua lunga storia. Mai così vicini.
Ma la parola chiave per il 9 novembre resta libertà. All´inizio, essenzialmente si è trattato della liberazione personale di uomini donne e bambini imprigionati dietro il muro per «28 anni e 91 giorni». A livello simbolico questa data vive soprattutto come immagine di liberazione pacifica. Una persona che vive a Pechino recentemente mi ha mandato per posta elettronica il link al "muro di Berlino" su twitter (www. berlintwitterwall. com). Colpisce il numero di messaggi in cinese su quella bacheca e molti, mi dice il mio interlocutore, sono inviti alla leadership cinese a buttare giù il cosiddetto Grande firewall (Gfw) il filtro sul traffico Internet usato come strumento di controllo e di censura. Un messaggio, opportunamente tradotto in inglese, dice ad esempio: «Presidente Hu, abbatta il muro del Gfw e restituisca alla gente la libertà di espressione».
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