
Non è il credit crunch il nodo cruciale del rapporto fra banche e imprese in Italia; altre e più gravi debolezze sono ormai ineludibili. Il credit crunch vero e proprio, già in atto alla fine del 2011, è stato risolto grazie all'intervento della Bce. Oggi il credito mostra deboli segnali di ripresa e soprattutto la riduzione netta di 20 miliardi registrata a dicembre è solo un ricordo. È vero che le banche italiane hanno comprato titoli per 70 miliardi, ma dovevano far fronte a una situazione finanziaria (100 miliardi di riduzione della raccolta interbancaria, 75 miliardi di obbligazioni in scadenza) che doveva essere riequilibrata come condizione prioritaria per evitare il credit crunch. Il che è puntualmente avvenuto.
Guardando ai flussi totali, la crisi è stata evitata, i segnali che si intravedono sono positivi e quindi «la critica alle banche di essere disattente alle esigenze dell'economia non è corretta». L'analisi è ineccepibile: una crescita degli impieghi, anche se ancora negativa in termini reali, potrebbe non avere un connotato restrittivo, considerata la caduta dell'attività produttiva rispetto ai 2007. Anche se va detto che i fabbisogni si sono accresciuti per effetto del rallentamento dei pagamenti, creando per le imprese difficoltà che costringono a non trascurare il dato brutalmente quantitativo. Visco ha comunque sottolineato che occorre guardare altrove, anche perché il credito bancario alle imprese è già a livelli di guardia: il 125% del prodotto lordo (un valore identico a quello del debito pubblico). Difficile che possa crescere senza accentuare squilibri che sono «un elemento di fragilità nel breve termine, un freno alle potenzialità di sviluppo».
Che fare? Primo: ridurre l'eccessiva dipendenza dal credito a breve che amplifica la variabilità dei flussi disponibili. Secondo: intervenire drasticamente per ridurre i costi operativi. Visco ha identificato una lunga serie di miglioramenti da perseguire, sgombrando il campo dalle facili autoassoluzioni che le banche tendono oggi a dispensare. Infine, uno sforzo importante è chiesto agli imprenditori «perché rafforzino il capitale delle loro imprese». Non con la solita invocazione al maggior ricorso alla Borsa, ma come contropartita alla «semplificazione dell'ambiente normativo e amministrativo». Un accenno ancora vago per considerarlo come una bozza di "patto del capitale", ma certo un'indicazione importante per una politica futura che non sia solo costretta a gestire l'emergenza, ma sappia finalmente rilanciare l'economia e la crescita.
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