
Gli africani si fidano dell’Italia. Altrimenti non farebbero accordi con il nostro Paese. «Aiutateci. Aiutateci a non far partire i nostri giovani, mi ripetono».
E’ un grido d’allarme accorato quello raccolto dal prefetto Rodolfo Ronconi, direttore centrale dell’Immigrazione e della Polizia di frontiera. L’Italia sta stipulando accordi di collaborazione per la gestione dei flussi migratori con una decina di Paesi africani. A parte il caso della Libia, che è il più noto, il nostro Paese stringerà (e in parte ha già stretto) patti bilaterali con Algeria, Niger, Ghana, Senegal, Gambia, Egitto ed altre Nazioni. Il progetto generale si chiama "Sahamed", finanziato con 10 milioni di curo dalla Ue. La Commissione Ue ha investito direttamente l’Italia della leadership del progetto; Ronconi mostra la direttiva di Bruxelles e ne è talmente orgoglioso che è combattuto dall’idea di farne un quadretto: «Guardi qua, c’è scritto che il ministero dell’Interno italiano è la sola Istituzione che ha risorse tecniche, finanziarie ed umane necessarie per portare avanti questo progetto europeo». E’ come un diploma di laurea.
Così il Viminale s’è messo in moto e, attraverso il Servizio della Polizia di frontiera, ha cominciato a dispiegare poliziotti italiani in pieno deserto. Non contingenti interi: piccoli numeri, ma significativi.
D’altronde, la prima frontiera è quella là. «Come collaborare coni libici - si chiede Ronconi se non si ha idea di cosa significhi "contrasto nel deserto"? Oggi i nostri agenti che intercettano una carovana di vetture cariche di immigrati partiti da Agadez, nel Niger, sanno riconoscere immediatamente se il convoglio prende la rotta di Tamanrasset; in Algeria, e sanno come trasmettere l’informazione». «Noi non andiamo ad insegnare. ma ad imparare» è un’altra delle locuzioni più frequentate da Ronconi nel corso del nostro colloquio. Ed è, a sentir lui, un atono formidabile: nessuno è maestro di niente, tutti si mettono insieme per risolvere un problema. «In questo momento un gruppo di funzionari di polizia nigeriani è all’opera in Italia accanto ai nostri poliziotti. Sono negli aeroporti, nei principali porti: ci danno una mano ad individuare i loro concittadini sospetti, a verificare l’autenticità dei documenti».
Questa "Polizia globale", questo nuovo concetto di sicurezza in cooperazione, è filiazione diretta dei cosiddetti "Colloqui di San Pietroburgo", quando nella città russa, nell’ottobre di due anni fa, i Capi delle Polizie dei Paesi interessati dal fenomeno delle migrazioni, lanciarono l’idea di un nuovo tipo di cooperazione internazionale. «La nuova strategia ora è quella di lavorare insieme - dice Ronconi - Noi acquisteremo camion cisterna per le Nazioni con le quali stipuleremo accordi, acquisteremo ambulanze e camion per il deserto e tecnologie informatiche. A chi ci accusa di essere poco attenti ai bisogni di quelle popolazioni, io rispondo così: acquisteremo ambulanze per loro, non tavolette di cioccolato. Non so se mi spiego. E non paracaduteremo i regali dall’alto, quell’epoca è finita».
Stando ai dati diffusi dal Viminale, questa nuova strategia di contrasto all’immigrazione clandestina i primi risultati positivi li ha già prodotti: gli sbarchi a Lampedusa e sulle coste siciliane sono diminuiti del 90 per cento; in soli tre mesi, da maggio ad agosto 2009, il numero dei clandestini sbarcati è passato da 15.000 a 1.400. E non è merito solo delle sei motovedette donate ai libici. Al momento anzi, il problema principale è diventato quello delle frontiere terrestri, ed è una cosa di cui non si parla tanto. «Tra gennaio e febbraio - dice Ronconi - abbiamo fermato alla frontiera del Nord-Est circa duemila clandestini».
La filosofia dei "Colloqui di San Pietroburgo" tocca anche altri aspetti del fare "polizia di prevenzione". Polizia di prevenzione, ad esempio, è anche abbreviare i tempi di rilascio dei permessi di soggiorno. Spiega Ronconi: «Bisogna instillare l’idea che sia più pagante venire in Italia in maniera regolare che da clandestino. Per esempio: uno sceglie di introdursi illegalmente nel nostro Paese se sa che ci vuole un anno per vedersi rilasciato un permesso di’soggiorno. Ma se, con le nuove procedure, noi possiamo arrivare a rilasciare un permesso in 45 giorni, ecco che cambia anche il modo di pensare all’immigrazione».
Sulla scrivania del prefetto Ronconi compaiono i numeri, anche questi a suffragio dell’inversione di tendenza: nel 2008 sono stati rilasciati 169.000 permessi di soggiorno e nel 2009 ne sono stati rilasciati 242.000, con un +43 percento; nel 2008 sono stati rinnovati 386.000 permessi di soggiorno e nel 2009 ne sono stati rinnovati 528.000, quasi il 50 per cento in più. Inoltre sono state introdotte in Italia oltre 300 nuove postazioni per il permesso di soggiorno elettronico, circa 70 apparecchi "visa-scan" per il rilevamento delle impronte digitali ed è stata pure creata una task- force anti-clandestini, forte di 33 persone, «un’unità di intervento rapido, che può essere facilmente spostata qui e là, per andare ad aiutare questa o quella questura o frontiera che ne abbia improvviso bisogno».
Un mese fa, a Ronfa, il ministero dell’Interno ha organizzato una conferenza internazionale per il "Progetto Across Sahara II". C’erano i rappresentanti delle Forze di Polizia di 21 Paesi. Davanti a loro, il ministro Maroni ebbe a dire: «L’Italia è convinta che i Paesi africani non possano essere lasciati soli nel gestire fenomeni di così grande portata (come quello dei flussi migratori, n.d.r) privi dei necessari mezzi». E i Paesi africani hanno accettato di buon grado la leadership italiana nella gestione dei fenomeni migratori. Tanto che è la prima volta in assoluto che Paesi africani hanno firmato accordi in materia di sicurezza con un Paese europeo. «Aiutateci a non far partire i nostri giovani», dicono. E lo dicono all’Italia.
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