
L’immigrazione elusa e dimenticata ci piomba addosso come un tornado. Al centro di tutto c`è una parola: ghetto. Nello stesso giorno in cui proviamo a liberarci da un ghetto, ne vediamo esplodere un altro. Il ghetto da cui cerchiamo di uscire è quello della scuola, dove i bambini italiani e stranieri devono imparare a mischiarsi e crescere insieme. Quello che invece scopriamo chiuso e senza uscite, è fatto di campi di pomodori e spaventose casacce dove bivaccano uomini che lavorano anche 16 ore al giorno per 20 euro. Un ghetto che ne produce un altro: quello di cittadini che si trovano ad essere aggrediti nelle loro strade, nelle loro case, nelle loro auto. «Siamo noi gli extracomunitari, non loro!», dice un uomo di Rosarno la cui moglie è stata appena assalita da una banda di neri. Così, l`Italia innamorata degli scontri ideologici (gendarmi della razza contro buonisti ad oltranza) oggi non sa che pesci prendere. Sulla scuola ha fatto un passo avanti. In Calabria ne ha fatti dieci indietro. Sulla scuola il ministro Gelmini ha indicato il tetto del 30 per cento di stranieri per classe, varando anche un pacchetto di norme tese a rafforzare la conoscenza dell`italiano. È un modo reale per favorire l`integrazione aiutando la didattica. È un modo concreto, non demagogico, per far uscire dal ghetto coloro che saranno futuri cittadini; e per prevenire insofferenze e intolleranze nelle famiglie italiane. A Rosarno, invece, nessuno ha mai pensato a far uscire dal ghetto i disperati che raccolgono i pomodori e le arance che noi mangiamo leggendo scritte tipo "maturati al sole della Calabria". Nessuno ha mai teso una mano a questi lavoratori schiavi dei racket mafiosi. Già, perché sono lavoratori: ce ne eravamo dimenticati? E nessuno ha mai pensato di proteggere i cittadini italiani dalla rabbia che montava nel mondo dei nuovi schiavi. A Rosarno, e in tanti altri posti come quello, l`apartheid appare invalicabile. C`è un libro, scritto da Marco Rovelli e pubblicato tre mesi fa da Feltrinelli, che racconta qual è il clima: «Lo sport più praticato dai giovani di Rosamo è la caccia al nero. Il lunedì mattina, sugli autobus che portano a scuola, i ragazzi si fanno il reportage dei rispettivi pestaggi; sono motivi di vanto, di onore. Ci sono tecniche, per linciare un nero. Anzitutto, evidentemente, essere in gruppo. Poi appostarsi nei luoghi strategici, dove sei obbligato a passare...». È in questo inferno che matura la guerriglia. E quando matura. non sai più chi ha iniziato e chi ha ragione, tra i lavoratori disperati e i cittadini esasperati. Come si esce dai ghetti di Rosarno? Le soluzioni che si sentono in giro si inseriscono bene nei due partiti, quello dell`«ltalia agli italiani» e quello che «gli immigrati sono solo vittime». Quindi, si va dallo sceriffesco ministro Maroni - «basta con la tolleranza!» -,all`ipotesi di espellere in blocco gli oltre 8mila irregolari calabresi, come suggerirebbe l`inapplicabile legge sul reato di clandestinità; all`opposto, a sinistra, qualcuno sembrerebbe voler dare una medaglia ai ribelli trasformati in teppisti. Di recente, 300 immigrati guidati dal segretario radicale Staderini hanno iniziato uno sciopero della fame perché si vedono negato il permesso di soggiorno cui hanno diritto. A loro dovrebbero unirsi i tanti lavoratori che lo Stato italiano finge di non vedere, anche se producono ricchezza e Pil, lavoratori che, chissà perché, non sono stati compresi nella recente sanatoria delle badanti e delle colf. Lavoratori che saranno di fatto alleati dei loro sfruttatori: se li denunciassero, a pagare sarebbero soprattutto loro. La legalità. La trasparenza. L`emersione dal nero. Sarebbero queste le uniche vie per garantire chi lavora e quindi per proteggere i cittadini che li ospitano. Ma nel Paese delle guerre verbali. il lavoro non fa notizia. I ghetti di Rosarno restano chiusi a chiave.
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