
Sull’Ilva si profila un nuovo scontro fra poteri dello Stato. All’indomani della decisione del gip, Patrizia Todisco, di bloccare la produzione nell’acciaieria di Taranto accusata di disastro ambientale, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Antonio Catricalà, annuncia al Gr1 Rai che il governo è pronto a chiedere alla Corte Costituzionale di «verificare se non sia stato menomato un nostro potere: il potere di fare politica industriale». Una decisione forte e dai delicati profili giuridici che è ancora allo studio: formalmente non è stata ancora incaricata l’Avvocatura dello Stato. E che si tenterà di evitare con la missione a Taranto, il prossimo venerdì, degli «inviati» del presidente del Consiglio, Mario Monti: i ministri Corrado Passera (Sviluppo economico) e Corrado Clini (Ambiente).
Al tavolo convocato in prefettura con i vertici degli enti locali il governo spera di trovare anche le autorità giudiziarie. Mentre il Guardasigilli, Paola Severino, che ha chiesto gli atti, auspica una soluzione che contemperi le esigenze diverse. Ma la questione non è semplice da dirimere. «L’intervento del magistrato era doveroso. Nessuna invasione di campo» ha protestato ieri l’Anm. «Una perizia ha dimostrato che esiste un pericolo per l’intera collettività», spiega il segretario Carbone, «i provvedimenti mirano ad evitare che questi gravi reati possano avere ulteriori gravissime conseguenze per la popolazione», ha aggiunto auspicando che si rifugga da «logiche di scontro, che rischiano di alimentare tensioni». E quello che chiede anche mentre presenta appello. Nessuno scontro con la magistratura assicura il ministro Clini che oggi aggiornerà il Parlamento: «Trovare una via d’uscita che coniughi sostenibilità e produzione è doveroso e possibile», «è in corso la terapia per salvare Taranto malata d’ambiente. L’eutanasia non può essere una cura».
La linea è quella già tracciata da Catricalà. «Partiamo dal presupposto che la tutela della salute e dell’ambiente è un valore fondamentale che anche il governo vuole perseguire. E che noi rispettiamo le sentenze dei giudici. Alcune volte queste sentenze - ha spiegato però - non sembrano proporzionate rispetto al fine legittimo che vogliono perseguire». Da lì l’idea del ricorso alla Consulta: «Chiederemo se non sia stato menomato il nostro potere». Un’idea che non è ancora una decisione. Anche se in via informale l’Avvocatura dello Stato e i giuristi di Palazzo Chigi avrebbero confermato che ci sono profili di ammissibilità.
Tuttavia l’ipotesi appare più come una forma di moral suasion sui magistrati. Per tentare un compromesso mantenendo accesi gli impianti, limitando la produzione per eliminare gli effetti malsani ma scongiurando una decisione irreversibile che costerebbe 24 mila posti di lavoro (con l’indotto 32 mila) e, secondo il governo, decreterebbe la morte della siderurgia italiana facendo un favore alla Cina e alla Germania. Spiega Catricalà: «Noi abbiamo stabilito con un decreto legge in linea con un orientamento preciso del Tribunale della Libertà di continuare le lavorazioni che non sono dannose, che non sono nocive e nel frattempo cominciare seriamente la politica di risanamento. E abbiamo stanziato centinaia di milioni proprio per questo motivo. Questo decreto legge resterebbe privo di qualsiasi valore se l’industria dovesse smettere di lavorare, se il forno si dovesse spegnere. Sarebbe un fatto gravissimo per l’economia nazionale, sarebbe un fatto grave non solo per la Puglia ma per l’intera produzione dell’acciaio in Italia».
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