
Dei fiori sparsi dove è caduto Simone, dove sabato notte la madre è rimasta quattro ore a piangere e a gridare accanto al figlio morto. Sopra di lei, affacciati alle finestre dell'ex grattacielo della «Pantanella», a Porta Maggiore - uno dei simboli della Capitale, trasformato in residenza esclusiva dopo anni di abbandono e occupazioni - piangevano anche gli inquilini dell'immenso complesso celeste accanto alla tangenziale est. Simone, 21 anni, abitava non molto lontano, nel popolare rione dell'Alessandrino, con i genitori. Studiava medicina all'università La Sapienza, faceva il tirocinio al Policlinico Umberto I. Era gay. E non sopportava l'omofobia. L'ha scritto anche nella letterad'addio infilata nel borsello che aveva ancora a tracolla dopo il volo di 25 metri dal terrazzo condominiale di un palazzo dove, almeno secondo la polizia e gli inquilini, non conosceva nessuno.
«L'Italia è un Paese democratico, libero - ha lasciato scritto Simone - ma è anche una nazione dove ci sono persone omofobe. E chi ha questi atteggiamenti dovrà fare i conti con la propria coscienza». Un esplicito atto d'accusa che potrebbe far pensare a vessazioni o maltrattamenti subiti dal ragazzo, ma che gli investigatori della polizia, dopo aver ascoltato i familiari e gli amici di Simone, per il momento escludono. Certo è che per arrivare in cima a quel palazzo Simone deve essere stato al corrente che la porta d'accesso era sempre aperta per motivi di sicurezza. Forse ha fatto dei sopralluoghi prima di suicidarsi. «Era sicuro che buttandosi da lì sarebbe morto», ipotizza qualche condomino. D'altra parte l'aspirante medico passava tutti i giorni davanti all'ex Pantanella per andare all'università. «Era un ragazzo buono e sensibile», racconta chi ieri pomeriggio è passato a portare un fiore sulla rampa del garage. C'era anche la sorella di Simone, distrutta dal dolore. Ad accompagnarla una coppia di amici che l'hanno sorretta quando si è avvicinata al punto dove il fratello è caduto. Lei sapeva che era omosessuale. I genitori forse non ancora. Ma nessuno poteva immaginare il disagio che il ragazzo stava vivendo. La polizia indaga per scoprire se dietro al tragico gesto di Simone ci siano responsabilità di altri, forse la procura oggi aprirà un fascicolo. Procedure simili a quelle adottate in altri due suicidi e un tentativo di suicidio avvenuti sempre a Roma nell'ultimo anno. In tutti i casi le indagini non hanno portato a nulla. Una delle vittime non era nemmeno omosessuale.
Intanto la comunità gay della Capitale si è subito mobilitata: per mercoledì prossimo manifestazione nella Gay Street davanti al Colosseo organizzata dal Gay Center per sollecitare l'approvazione della legge contro l'omofobia. «In Italia non si fanno i matrimoni gay, ma purtroppo tanti funerali gay: che ognuno interroghi la sua coscienza da politico a cittadino comune su quanto abbia contribuito a lottare contro l'omofobia o piuttosto a contribuire alla sua diffusione», chiede l'ex parlamentare Vladimir Luxuria mentre il vice ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali con delega alle Pari Opportunità, Maria Cecilia Guerra, afferma: «Siamo tutti responsabili». Secondo il Gay Center «un omosessuale su dieci ha pensato al suicidio». Ma da un'altra indagine emerge che il 30 per cento dei giovani che negli ultimi anni si è tolto la vita lo ha fatto perché gay, per la paura o l'esperienza vissuta in prima persona di essere rifiutati. «Numeri impressionanti - dice ancora il viceministro Guerra che devono spingerci ad agire. Tutti abbiamo responsabilità, ciascuno a suo modo: le istituzioni, la scuola, la famiglia, i mass media, e non voglio certo sottrarmi alle mie. È necessario fare molto di più». E il sindaco Ignazio Marino lancia un appello: «L'omofobia ha ucciso ancora a Roma. Non lasciamo soli i nostri giovani, cominciamo dalle scuole questa battaglia di civiltà».
© 2013 Corriere della Sera. Tutti i diritti riservati