
Le insinuazioni con cui Letizia Moratti ha tentato di criminalizzare il suo avversario Pisapia demoliscono con un colpo finale un grande equivoco che ha contrassegnato questi oltre quindici anni di Seconda Repubblica: che il centrodestra sia il paladino di una cultura garantista, custode dei valori dello Stato di diritto. La presunzione di innocenza calpestata dall'assalto del giustizialismo forcaiolo? Vale solo per sé, per la propria parte, per il proprio leader. Le sentenze di assoluzione? Carta straccia. E così l'attenzione per i diritti della difesa, la critica all'abuso delle intercettazioni telefoniche, gli appelli per una giustizia fondata sulle prove e non sui teoremi. Il centrodestra non dice: deve essere sempre così. Dice piuttosto: dipende. Dipende se mi conviene oppure no. Peccato. Gli sparuti manipoli garantisti, qualche giornalista refrattario all'onnipotenza delle Procure e ai magistrati che concionano le folle ai comizi, i radicali, le associazioni degli avvocati, davvero avevano creduto che la maggioranza si sarebbe impegnata per la separazione delle carriere, come avviene nella quasi totalità delle democrazie liberali, o per la responsabilità civile dei giudici, secondo le indicazioni di un referendum popolare (disatteso). Provvedimenti impantanati, con i faldoni delle pratiche riposti negli armadi di qualche pur benemerita commissione parlamentare. La velocità è stata tutta per la prescrizione breve. Questa serviva, il resto no. Il garantismo può attendere, ci sono altre priorità.
Peccato. In un Paese normale dovrebbe essere la sinistra liberale e riformista ad essere garantista, attenta ai diritti, ostile a uno Stato invadente che schiaccia con i suoi apparati i cittadini stritolati da meccanismi giudiziari ingiusti. Ma per complesse ragioni storiche, la sinistra italiana ha compensato la propria impotenza politica con una super-potenza giudiziaria, ha affidato ai giudici rappresentati come angeli vendicatori il compito di colpire gli avversari politici. Consegnandosi culturalmente nelle mani delle Procure militanti, della retorica dipietrista e dei media che hanno sostituito con le manette la falce e martello caduti in disuso, ha spezzato ogni legame ideale e mentale con il garantismo liberale. È andata così. Molti ingenui (compreso chi scrive) hanno pensato che, almeno, dalla parte opposta certi principi irrinunciabili del garantismo fossero salvaguardati. Era un abbaglio. Quando vuole, il centrodestra, con i suoi giornali d'assalto e i propri portavoce politici della fila terza o quarta, sa essere più forcaiolo, giustizialista, anti-garantista, «mozzaorecchi» come usa dire, dei suoi avversari. I quali, almeno, i sacri principi del garantismo non li sventolano a date alterne. Peccato, ora l'equivoco è stato definitivamente dissipato. Il garantismo resta appannaggio di poche frange lunatiche. Il giustizialismo diventa trasversale. L'unità nazionale. Con le manette.
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