
Un grande viaggio inizia sempre con un primo passo, quello fatto oggi va nella giusta direzione ma è troppo timido. Il Decreto Legge emanato dal Governo è importante soprattutto perché dimostra la bontà dei rilievi e delle denunce provenienti dai penalisti italiani riguardo alla sostanziale liquidazione della legge Gozzini posta in essere dalla metà degli anni novanta in poi, abbandonando quella strada - culturalmente regressiva, giuridicamente arretrata, fallimentare dal punto di vista degli effetti sociali - che finalmente viene riconosciuta come sbagliata.
Diminuendo le preclusioni ai benefici penitenziari e rafforzando alcune misure alternative, anticipandone l’applicazione quando possono evitare l’ingresso in carcere (quest’ultima è una specifica elaborazione scientifica delle Camere Penali), le norme licenziate oggi si iscrivono in un complessivo ripensamento degli indirizzi fin qui mantenuti ed assolvono ad una duplice funzione: da un lato rafforzano il fine di reinserimento sociale dei condannati attraverso un utilizzo meditato della sanzione detentiva, finalmente iniziando una revisione critica sulla impostazione carcerocentrica del sistema penale, d’altro lato prendono atto che è il rafforzamento delle misure alternative alla detenzione in carcere, e comunque dei benefici penitenziari, a produrre, con il crollo delle percentuali di recidiva, il maggior vantaggio complessivo per la società. Non si tratta, dunque, di svuotare le carceri dai colpevoli, ma di operare perché esse non continuino a riempirsi.
Ma il decreto odierno non è assolutamente sufficiente. Oggi il Governo aveva finalmente l’occasione per voltare pagina, secondo una visione finalmente moderna dell’esecuzione penale, che non indebolisce bensì rafforza la sicurezza collettiva, ma questa scelta doveva essere perseguita con maggior determinazione, senza cedere a suggestioni e ricatti demagogici dei forcaioli vecchi e nuovi, i quali giocano sulla ignoranza dei dati criminologici per meri interessi elettorali. E questo, purtroppo, è accaduto, atteso che le versioni del Decreto Legge che si sono susseguite in questi giorni hanno perso per strada sia il rafforzamento della liberazione anticipata, sia una decisa modifica dell’art 4 bis dell’ordinamento penitenziario (da abrogare o quantomeno ridimensionare, mentre invece è stato addirittura arricchito di una ulteriore preclusione oggettiva, in maniera contraddittoria rispetto alla filosofia del provvedimento), sia l’applicazione anticipata e provvisoria dell’affidamento in prova al servizio sociale.
Questa rischia di essere una riforma a metà, per cui sarà fondamentale recuperare l’originaria impostazione nel dibattito parlamentare in sede di conversione. Occorrerà che le forze parlamentari dimostrino lungimiranza e coraggio, con una vera e propria operazione culturale che determini un deciso mutamento di rotta in tema di esecuzione penale. [3]
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